Zoccole e puttane: Profiteer
Racconto di Ippolita Luzzo
Seduta nello studio dell’affermata e bella professionista mi ero attardata in pratiche inerenti gli operai, e nel mentre lei spulciava normative, io tiravo fuori dalla mia borsa qualche foglio. Lei sapeva che io scribacchiavo qua e là ed improvvisamente mi fa: – Lei scrive, signora. Scriva la mia storia! –
Non avevo idea di quale storia io potessi scrivere, non avevo idea che avrei dovuto mettere su carta una vita completamente destabilizzata malgrado le apparenze, lo studio scintillante, i dipendenti, il suo abbigliamento da donna in carriera, la sua bellezza. Mi risedetti e abbassai la testa, a disagio, io ero solo una sua cliente, a mia volta catapultata in anni, in giorni orrendamente sciupati.
Lei, come me, aveva avuto un grande e solo amore che aveva sposato dopo ben quindici anni di fidanzamento.
Le somiglianze fra me e lei finiscono qui.
La sua storia poi a me sembrò inverosimile.
Dopo pochissimo suo marito incontrò un’altra donna, povera, ignorante, debole, ecco e lui, così disse a lei, ne ebbe pena.
La moglie perdonò, ma lui continuò a vedere di nascosto questa donna povera, debole, senza grazie.
Lui disse alla moglie che l’avrebbe lasciata se lei lo avesse aiutato, avesse aiutato questa povera donna finanziariamente.
Così la professionista affermata ed innamorata finanziò l’acquisto di un bel negozietto per l’altra, che cos’erano per lei cinquantamila, sessantamila euro, centomila euro?
Nulla, mentre per l’altra erano vitali. Lei acconsentì.
Continuavo ad ascoltare a bocca aperta, senza pensare, mentre lei aggiungeva che il marito non lasciò l’altra ma addirittura dopo qualche tempo la mise incinta. S’incontrarono tutti e tre e l’altra, quasi fintamente rassegnata mellifluamente sospirò: – Ora dovrai dare la separazione a tuo marito, ora noi lo facciamo per il bambino. Il marito, a capo chino, spergiurava di amare la moglie e che l’altra le faceva pena, l’altra aveva calcolato solo il portafoglio di lei, della moglie. Così la professionista si ritrovò senza marito, senza soldi, ovvero con una perdita ragguardevole…
-Ma io amo ancora mio marito- mi diceva- mentre l’altra vuole solo i suoi soldi. Vede signora – continuava – la differenza fra zoccole e puttane. Le puttane fanno un mestiere dignitoso, sanno cosa fanno, non rovinano famiglie, sanno stare al loro posto, la zoccola fa la manfrina, recita a soggetto il ruolo della gatta morta, della povera disgraziata, di chi ha tanto bisogno, bugiarda, ingannevole, riduce l’uomo un pupazzo.
Mah, io non ero tanto d’accordo e tornata a casa studiai le zoccole, le femmine dei topi, che possono rimanere incinte di più partner, le zoccole che quando camminano fanno un rumore incredibile come le donne del medioevo che battevano sul selciato gli zoccoli. – Passano le zoccole- dicevano gli uomini sentendo il rumore ed era ovvio che le donne per bene stavano a casa.
Studiai la voracità di sesso, l’avidità senza scrupolo di donne che saltano su tutto, come cavallette, impazzite ma determinate nel raggiungere i loro scopi. Che hanno sporcato come una fogna il nostro tessuto, politico, sociale, urbano. Rimanevo sempre più infastidita e cominciai anch’io a dare della zoccola e della puttana a donne che rubavano tutto, la villa principesca, tutta l’attrezzatura ed i camion della ditta, rubavano tutto
Zoccola e puttana… cominciai a dire io, ma non era vero, siamo noi che permettiamo la spoliazione per troppo amore, nel mio caso ero io che, noncurante dei beni materiali, continuavo a veleggiare con un foglio in mano senza orpelli, gioielli e conto in banca.
Le zoccole e puttane restano solo zoccole e puttane- come dice mio padre.
Parlo come lui. Perdonatemi. Parlo come lui e poi continuo amaramente e storicamente precipitata nel basso impero romano, quando una grande potenza finì in mano ai barbari indebolita, infiacchita da zoccole e puttane, da una rilassatezza di costumi, da avidità senza fine, dallo sporco e dalla puzza della cloaca massima