Whitney. Una voce diventata leggenda

Articolo di Antonio Maria Porretti 

Dacci oggi almeno un biopic all’anno… pare ormai essere questa la sinossi imperativa da cui trae ispirazione una certa e attuale attività cinematografica. Ma, al pari delle ciambelle, non tutte le biografie legate ad artisti di fama e celebrità planetaria riescono col buco, o per meglio dire, bucano lo schermo.

Ne è un fulgido esempio Whitney, una voce diventata leggenda. “I Wanna Dance With Somebody”, nel titolo originale che si rifà al primo e grande successo della cantante. Una delle voci più regali mai apparse nel firmamento di ogni epoca. Peccato che l’operazione condotta da Kasy Lemmons non faccia che riverire e ossequiare con devozione certosina ogni convenzionalità più tipica del genere, nel ripercorrere l’ascesi, la caduta e la faticosa risalita di una grande stella.
Non ha  di certo giovato alla sua regia la collaborazione di Anthony McCarten, lo stesso sceneggiatore di “Bohemian Rapsody” del 2018, che qui sembra quasi procedere per autocitazione di questo suo precedente, limitandosi a tracciare un “Coccodrillo” da rivista ultra patinata della cantante, anche in quelle parti che avrebbero meritato un lavoro di maggior scavo psicologico. Opportunità clamorosamente mancate invece. Tipo il rapporto ambiguo e ambivalente che la Houston ebbe con il padre, sfruttatore incallito più che demiurgo della carriera della figlia. Giusto per nominarne una.
Un film che alla fine emoziona e commuove più per le reminiscenze che è in grado di suscitare nello spettatore, specie se la sua gioventù è legata alla discografia del periodo, che per una effettiva restituzione della personalità dell’artista. Tutto rimane a livello di illustrazione, nonostante Naomi Ackie si impegni con tutte le sue forze a far rivivere Whitney sul grande schermo e nonostante la dissonanza creata da una scarsa credibilità sul piano fisico, non avendo esattamente la stessa figura da mannequin della Houston, né la sontuosa estensione vocale che continuerà a renderla immortale.
Va precisato infatti che nel film è la voce di Whitney a cantare, rimasterizzata ad hoc per confermarne la leggenda. Sarà un caso se i momenti da brivido della pellicola siano quelli delle  sue performances passate alla storia? Vedi l’esibizione nello show di Oprah Winfrey nel 2009 , quando la sua dipendenza da alcol e droghe era di pubblico dominio e dove canta ” Non conoscevo la mia forza/ mi sono abbattuta e sono caduta/ ma non sono crollata”; da spezzare il cuore.
Vedi la sequenza finale con il “medley impossibile” da lei eseguito agli American Music Awards, dove la sua voce attacca una di seguito all’altra tre canzoni da scalare fino alla vetta, come lei amava: “I love you Porgy”, “And I am telling you I’m not going” e “I have nothing”. Passaporto per l’eternità di una leggenda scomparsa prematuramente nel 2012 e in circostanze mai del tutto chiarite. Quasi fosse un marchio di fabbrica del Genio. Quasi fosse la reiterata e inoppugnabile sentenza del leitmotiv . Quando gli dei esaudiscono i nostri desideri, è perché in realtà intendono punirci.”

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