Vladimir Di Prima. La banda Brancati. A&B Editrice
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri
Stanco, inetto, a caccia della felicità effimera, poco incline alla contemplazione edificante. Ecco a voi un uomo della modernità.
Vladimir Di Prima costruisce un personaggio dei nostri tempi. Possiamo immaginare le sue sembianze e le sue movenze, d’altronde ci appartengono. È un individuo sull’orlo di una crisi di nervi che si aggira per la provincia siciliana in cerca di una storia fuori dal comune. Nel momento in cui non la trova, la inventa, perché in una società evanescente la dimensione onirica assurge al ruolo di realtà ideale, confortevole e sempre a portata di mano.
La Banda Brancati gira intorno a un autore in dialogo con una fantasmagorica signora che ha bisogno di raccontare un segreto, che farebbe scalpore, sul famoso Vitaliano Brancati. Lo scrittore siciliano era un uomo del Novecento soffocato dalla vita di provincia, ispirato però da quell’essenza mortifera del fatalismo isolano. I suoi personaggi erano infatti uomini della necessità che si muovevano tra apparenza e disillusione, tra modi cortesi e rabbia celata.
Così Di Prima ricalca le orme di questi personaggi. Il suo protagonista è un fatalista che si abbandona al bisogno di ricercare una storia con cui colpire nel segno. Per quanto inespressa, dietro tutto c’è la paura del nulla, della morte-nullificante, essenza nichilista che non ha niente a che vedere con la modernità, ma che è un ancestrale archetipo del meridionale. Sciascia stesso chiamerà questo elemento pessimismo meridionale.
La signora Cesti, inconsapevole demiurgo del romanzo, con le sue apparizioni fugaci racconta al narratore i segreti di Brancati. Siano essi veri o falsi non importa, perché in un mondo in cui la verità è abolita, tutto è concesso. E il protagonista esegue, ossia, ascolta, prende appunti, si imbarca in un lavoro di ricerca sul suo scrittore preferito, un siciliano che somiglia a lui. L’imitazione è dietro l’angolo, perché in quanto figli della coazione a ripetere, la vita di ognuno diventa sempre ciò che non si vorrebbe e l’indesiderato è il desiderio stesso.
Questa volontà di annientamento, descritta in maniera ironica, leggera, con parole del volgo, si manifesta costantemente in un romanzo il cui finale sfocia nell’assurdo, perché l’assurdo è la forza motrice dell’umanità e solo ciò che non ha senso può aspirare a ritrovare una casa o, come in questo caso, di imprimersi eternamente sulle pagine di un libro.