La comunità dei viventi. Idolo Hoxhvogli e il conflitto tra “Terra e Cielo”

La comunità dei viventi. Idolo Hoxhvogli e il conflitto tra “Terra e Cielo”

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “La comunità dei viventi” di Idolo Hoxhvogli, Clinamen, 2023. Seguici e iscriviti anche sul canale WhatsApp: https://whatsapp.com/channel/0029VaDWcN25EjxzoWoAJu05

La presunzione di aver capito la differenza tra “bene e male”, senza tenere conto del fatto che quella mela primordiale altro non ci regalò se non un dubbio irrisolvibile e, con esso, la tentazione di esistere e di resistere.

Un pamphlet feroce questo scritto da Idolo Hoxhvogli che richiede al lettore un’immersione totale. Non ha solo un carattere filosofico, anzi utilizza una prosa ricca di simboli e di rimandi che ci invogliano a ricercare, mentre pian piano cadiamo nell’abisso della nostra Storia.

È quindi la presunzione di conoscere, di voler stigmatizzare tutto ciò che ancora è rimasto nella categoria del mistero, a condurre l’umanità verso l’autodistruzione. Incapace di stupirsi, ogni persona costruisce sé stessa prendendo spunto da quella Tecnica che sterilizza tutte le cose dall’inconoscibile.

Fuori dalla dimensione spirituale, sottratto dalla propria comunità, isolato da ogni ideale comune, l’uomo è ormai un algoritmo che presume di sapere, che si dichiara ignorante solo per giustificarsi banalmente. Eliminati gli dei, ecco gli idoli che non hanno misteri, che si mostrano trasparenti e senza macchia pur navigando in un mare di contraddizioni.

La felicità è apparente e i risultati li dimostrano. C’è una società in guerra per cui esiste solo la prevaricazione, persino la democrazia si tramuta in una lotta ansiosa in cui “cane mangia cane”, contravvenendo così a tutte le consuetudini. Distrutti i miti, le utopie, i sogni, il Cielo, cosa resta se non un cumulo di tecnica ben argomentata?

Ma sia ben chiaro, Idolo non è contro la scienza e non vorrebbe che l’uomo tornasse all’Età della pietra. Come tanti teme la caduta, la fine del rispetto verso ciò che è misterioso e sacro, ossia che riposa nell’inconoscibile e che va separato dalla mondanità; perché se è vero, come sosteneva Nietzsche nel suo Zarathustra, che l’uomo deve mettere fine alla lotta nefasta tra corpo e anima, non bisogna neanche cadere nella dittatura del corpo e della materia. È il Cielo anche la nostra dimora. Cielo inteso come spazio nel quale l’uomo riconosce il suo limite e la sua ignoranza, nube in cui si dialoga con Dio, con sé stessi e con l’Universo.

L’utopia cui tende Idolo è l’equilibrio; il trionfo dell’inconsapevolezza che genera meraviglia, che sa spaventare e istigare alla conoscenza. Proprio la conoscenza non può essere prevaricatrice, non deve essere intesa come dominio, ma come “sapere che dà alla comunità dei viventi un’armonica esistenza”. Si apre quindi un altro conflitto, quello tra Tecnica e Trascendenza.

Sono tanti gli autori che Idolo inserisce, sottotraccia, nei suoi scritti. Vi ho ritrovato i padri della Chiesa, i mistici e gli utopisti del Cinquecento; Cioran e Caraco per lo stile tagliente e a tratti lapalissiano; persino le migliori intuizioni di Carlo Michelstaedter, in quanto lo scritto di Idolo Hoxhvogli è sicuramente espressione della nevrosi della Persuasione, che non abbozza un malessere, ma lo espone tenendo conto della Storia che i nostri geni si portano sulle spalle.

Il nostro passato ci indica tanto la strada per la salvezza quanto quella per la distruzione. Quale via abbiamo imboccato?

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