Le vittime innocenti dei regimi
Articolo e foto di Adriana Sabato
Migliaia di bambini ucraini sarebbero stati deportati dai russi e avrebbero subito un’adozione forzata. E Mosca, indirettamente, conferma il fenomeno. Anche con le parole di Maria Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini, che in tv ha ringraziato Putin per aver potuto adottare un 15enne.
Ascolto queste parole e non posso fare a meno di pensare anche agli orrori del nazismo: i collegamenti con quella assurda pagina di storia che l’umanità mai dovrà dimenticare, sono terribilmente ovvi. E poi il 24 marzo ricorre un triste anniversario: 335 persone inermi, trasportate alle Fosse Ardeatine dai tedeschi anche avvalendosi dell’assistenza delle forze di polizia fasciste, furono trucidate con un colpo di pistola alla nuca. Un piano atroce che si fa persino fatica a immaginare.
Mi vorrei addentrare più a fondo in questo genere di argomento e compio una ricerca. Due le parole chiave, ossia bambini e nazismo, e ciò che mi appare fra le altre, è una pagina in cui si descrive l’organizzazione del campo di Auschwitz: la famigerata fabbrica della morte. I primi deportati iniziarono ad arrivare già nel 1940. Giunti a destinazione, sotto gli occhi del “personale medico” delle SS, avveniva la prima tragica selezione: mediamente solo il 25% dei deportati era dichiarato abile al lavoro, il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era automaticamente condannato a morte. Condanna che com’è tristemente noto, prevedeva l’uso delle camere a gas: nelle camere a gas, ad attenderli trovavano quelli che Primo Levi definì i “corvi neri del crematorio”: i sonderkommandos, unità speciali di ebrei istituite per collaborare con le SS in cambio di un trattamento di favore.
Ma molti morirono anche nei ghetti dove la fame e il tifo decimarono migliaia di persone. I bambini “indesiderabili” ebrei, zingari, slavi, disabili, rimasti vittime del III Reich furono almeno un milione e mezzo. Chi si salvò, come Elie Wiesel o Liliana Segre, diventati adulti, hanno raccontato e testimoniato l’orrore a cui hanno assistito.
Non so se sia giusto o meno compiere dei paragoni storici. So per certo però che appare del tutto naturale, forse perché la Shoah è un punto di riferimento dal quale non si può prescindere: un peso storico davvero troppo grande, ma anche un evento unico sotto tantissimi aspetti che innanzitutto necessita di essere compreso a fondo nelle sue dinamiche storiche. Ricomincio con le ricerche e mi ritrovo davanti un piccolo saggio di Umberto Eco, un testo del 1995, recentemente ripubblicato, in cui lo scrittore spiega quali sono i tratti fondamentali di un regime, e che la Russia possiede e vuole imporre. Si intitola Il fascismo eterno e, malgrado mi imbatta in alcune recensioni non proprio positive, il testo viene accolto ottimamente da lettori di vasta e variegata provenienza. Proprio molti lettori hanno evidenziato, nello scritto di Eco, la visione profetica degli attuali fatti storici. Ma il saggio viene anche definito dal criminologo docente ad Oxford Federico Varese: un saggio che ci aiuta a capire la Russia di oggi. Sembrano così fargli eco le parole pronunciate il 24 aprile dello scorso anno da Iole Mancini: Bambini uccisi e città distrutte, Putin si comporta come Hitler! Iole Mancini, si ricorderà, è stata la staffetta partigiana, moglie del partigiano Ernesto Borghesi che sopravvisse alle torture di Priebke.
Trovo ancora l’articolo di Maurizio Stefanini, Educazione cremliniana. Il culto della morte e la crescente nazificazione nella Russia di Putin che fa riferimento ad un libro-reportage di Gregor Ziemer. Scrive tra l’altro Stefanini: Ottanta anni fa, era l’educazione alla morte il modo in cui il regime hitleriano creava i perfetti nazisti, Oggi è uno stesso percorso di idealizzazione della morte che sta portando alla crescente nazificazione della Russia di Putin. […]
L’unicità della Shoah è indiscutibile e il confronto con gli episodi che vedono l’oppressione, l’esercizio gratuito della violenza di massa, le minacce di sterminio che in vari contesti si manifestano nella nostra contemporaneità è anche il risultato dell’amara constatazione delle troppe vittime innocenti in nome di un imperativo superiore: la vittoria militare, la supremazia etnica e culturale. E le dinamiche della storia odierna sono diverse, ma, come insegna Primo Levi attraverso l’esperienza estrema di Auschwitz: l’idea che chi è straniero è automaticamente un nemico giace nascosta dentro di noi come un’infezione, ma quando diventa un sistema di pensiero può produrre degli atti e dei gesti che poi portano direttamente al lager.
È accaduto, dunque può accadere nuovamente. E questo, oltre ad essere un monito, è un valido argomento che aiuta a riflettere a lungo.