Il ponte. Trevisan e il passaggio verso l’ultimo “Io”

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il ponte” di Vitaliano Trevisan, Eianudi. Questo articolo è già stato pubblicato per Zona di Disagio
Ne ha ripubblicato un altro Einaudi, quasi volesse ricordarci che Vitaliano Trevisan, dopotutto è stato un degno scrittore che merita di essere ripassato. E per fortuna, diciamo noi, qualche volta accadono miracoli.
Il ponte. Un crollo è apparso per la prima volta nel 2007. Un libro ancora attuale, con una scrittura magistrale attraverso cui Trevisan omaggia il suo mentore Thomas Bernhard. 130 pagine fitte, dense di riflessioni che cementano una storia di pentimenti e confessioni, in cui la tragica morte di Pinocchio, fratello di sangue del narratore, spalanca la porta a un passato dimenticato ma con cui bisogna chiudere i conti.
È un viaggio che tocca l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta quello che il narratore ci fa vivere.
Lui è fuggito da quella provincia vicentina aggrappata al lavoro costante, insoddisfacente, eppure innalzato a unica ragione di vita. Che poi nel mezzo ci sia altro e che ogni uomo cerchi altro, non importa. È inutile tutto il resto, perché un uomo è ciò che produce. Nella lotta quotidiana in cui bisogna sempre scegliere tra essere o dover esser, il narratore racconta della sua battaglia per riappropriarsi dei propri interessi, quel leggere e studiare che a detta dei suoi familiari non serve a nulla.
Ne viene fuori l’immagine di una società tribale, che lotta per l’accumulo, per la roba, che fa dell’individuo un soggetto-produttore. La famiglia stessa è una cellula produttiva: fare dei figli è un dovere. Sono pagine di denuncia quelle che Trevisan ci consegna. Chi già ha letto Works troverà un tema assai caro allo scrittore veneto, che in questo libro pone l’accento anche sul senso di colpa che si genera in coloro che vogliono stare fuori dal coro.
Come nella povertà, così nell’opulenza si è spacciati. Si è al servizio dell’utile e del profitto. Le necessità del cuore vengono rinnegate o vissute con timore. Ma Trevisan indaga anche la debolezza della lingua italiana, incapace di saper cogliere alcune sfumature; e lo fa riportando in vita quel Pasolini che amava invece i dialetti delle borgate e la volontà di vita che si manifestava con audacia tra quei vagabondi che si abbandonavano alla fatalità.
Questo romanzo di Trevisan è l’ennesima prova di una letteratura che resiste, nonostante venga sempre spinta ai margini. Il ponte. Un crollo è un libro di denuncia, in cui lo spaesamento è fonte di ispirazione, in cui il narratore incita alla rivolta, a quel no che Camus poneva come primo atto di risveglio, purché si dia avvio a una caustica correzione… come insegna Thomas Bernhard.