La vita nascosta. Raffaele Donnarumma tra “amore” e “sopravvivenza”
Recensione di Serena Penni. In copertina: “La vita nascosta” di Raffaele Donnarumma, Il ramo e la foglia edizioni, 2022
La vita nascosta, di Raffaele Donnarumma, è un romanzo che parla d’amore, di solitudine e di sogni infranti, ma anche di sopravvivenza, di senso di autoconservazione e di cambiamento.
La vicenda è narrata in prima persona dal protagonista, R., il quale, giunto alla soglia dei cinquant’anni, si trova a dover tirare le fila della propria biografia. Per quanto riguarda il piano lavorativo, R. può dirsi discretamente pacificato con l’ambiente accademico di cui fa parte, del quale ha imparato ad accettare le dinamiche talvolta capziose, i meccanismi intricati che tengono sì conto del merito, ma non solo; sul piano della vita affettiva, invece, le cose stanno diversamente.
R., infatti, un giorno come un altro, nel corso di una conversazione come un’altra, sente proferire dal suo interlocutore le parole destabilizzanti e lapidarie dell’abbandono. A pronunciarle è S., il compagno ufficiale di R., un artista perennemente insoddisfatto della propria opera, sempre in cerca dell’immagine che sfugge, ma anche dell’approvazione altrui, che se non arriva subito fa male.
R. non gli era fedele, perché nella sua vita esisteva anche G., ma questi recitava il ruolo dell’amante e non può avere senso nell’esistenza di R. se non come “l’altro”. R. si trova improvvisamente solo. Ed ecco che di fronte a lui si apre un panorama nuovo. Perché mentre era occupato a fare altro – costruire una relazione stabile, una carriera lavorativa – il mondo gay è cambiato, introducendo modalità relazionali e comportamentali che, se da una parte hanno liberato “il soggetto omosessuale” dal fardello della presunta colpevolezza, dal bisogno di nascondersi, di mimare un’eterosessualità di facciata, dall’altra hanno reso più spietata e crudele la lotta per l’affermazione di sé.
Prima di tutto, ha preso piede la palestra, luogo dove ci si allena nella speranza di raggiungere l’ideale di perfezione proposto dai fotomodelli le cui immagini sono riprodotte ovunque. La palestra si porta dietro il culto della prestanza fisica, ma anche gli attrezzi su cui mettersi alla prova, gli asciugamani madidi di sudore, le docce dove oltre a lavarsi ci si osserva e ci si valuta a vicenda, scrutando riflessa in mille occhi la propria insicurezza, la propria paura di non piacere, di non essere all’altezza. Le barrette proteiche, gli ormoni per la crescita. La tavola, di contro, non si configura più come luogo di convivialità per eccellenza, dato che l’alimentazione deve sottostare a rigide regole di qualità e quantità.
La fiera delle vanità ha anche un’altra faccia, meno fisica e più mentale; più subdola in quanto – antiteticamente rispetto alla palestra, che esalta l’apparenza, l’esteriorità – maschera la stessa identità degli utenti. Si tratta della rete, dei numerosi siti di incontri spuntati come funghi negli ultimi dieci anni, ad uso e consumo di qualsiasi preferenza in ambito sessuale. Qui, ognuno può fingersi chi più gli piace, può inventare sé stesso indulgendo al proprio narcisismo. In rete, la menzogna, prima di tutto sull’età, è la prassi. Per questo, bisogna essere scaltri nel decriptare messaggi volutamente ambigui, abili nel farsi capire senza rivelarsi.
Quello a cui R. si affaccia è un mondo di giovani; un mondo in cui chi è giovane lo ostenta, chi non lo è più, tenta di apparire tale attraverso il culto ossessivo della propria immagine oppure, più semplicemente, finge di esserlo, con l’inganno. Il web, del resto, permette anche di spingersi oltre perché, come presto scopre R., esistono applicazioni specifiche in grado di dirci chi, nelle vicinanze, sia disponibile a fare sesso con noi. Il corpo, idealizzato e coltivato come un tempio, diviene la principale merce di scambio in una pratica che appare liberatoria poiché svincola la sessualità da una serie di sovrastrutture, ma anche limitante perché confina la possibilità di conoscenza dell’altro entro limiti ben prestabiliti.
Questo mondo, che sembra accogliere in sé tutte le molteplici sfaccettature dalla fatuità, si offre ad R., proprio quando la giovinezza – quella giovinezza che tutti noi, a un certo momento, abbiamo creduto sarebbe durata per sempre – gli scivola via dalle mani. R., dopo uno spaesamento iniziale, impara a difendersi; accetta le modalità, i riti e gli inganni della nuova realtà nella quale si trova ad essere, suo malgrado, catapultato. Un giorno, però, R. si imbatte in L. e il gioco finisce di essere tale. L., giovane e affascinante studioso di non troppo belle speranze, ostenta una disinvoltura in ambito di abitudini sessuali dalla quale R. è spaventato, ma che tuttavia non basta a dissuaderlo dall’intraprendere con lui una relazione fatta di attese, di scambi fugaci e di continui ripensamenti. L’autoconsapevolezza di R. – che si definisce masochista – non gli impedisce di soffrire per la gelosia e i continui abbandoni subìti. Ma L. oltre che carnefice è anche vittima; anzi, forse si può dire che il suo comportamento scostante è, se non del tutto, in buona parte motivato dalla sua sofferenza, dal male subdolo e insidioso che lo corrode nel profondo. Una malattia dell’anima, che atterrisce R., il quale ha persino paura di dire “psichiatra”, e preferisce il più aleatorio “medico”. Un tarlo che logora e distrugge non solo L. ma anche chi gli sta attorno, perché rende L. crudele e del tutto privo di empatia.
R. riesce infine a mettersi in salvo, riportando però, da questa relazione, un bagaglio di delusione e di malinconia che forse neppure il tempo cancellerà del tutto. L. si rivela infine foriero di un’estraneità al confronto della quale persino S., l’ex storico, appare una figura rassicurante. Sullo sfondo c’è Anna, l’amica del cuore, la confidente privilegiata di R. Anna è una sorta di super io che, se all’inizio invita R. alla leggerezza, successivamente lo mette in guardia dalle insidie di L. L’eterosessualità di Anna viene talvolta identificata da R. come una via facile verso la serenità, ma la donna gli lascia intravedere una realtà intrisa a sua volta di mancanze, di paure e di fragilità. Una realtà in cui non basta essere un uomo e una donna per avere un figlio; dove ci sono visite dal pediatra dall’esito incerto, difficoltà economiche e ancora tanto altro, che R. non riesce a percepire fintantoché è irretito nella voragine autodistruttiva innescata da L.
La vita nascosta è un romanzo capace di scandagliare acutamente l’animo umano, mettendone a nudo le fragilità e gli autoinganni, ma anche i punti di forza e le vie di fuga che un individuo sano è in grado di trovare, in modo tale da poter arrivare alla conclusione che il tempo non è passato invano; che non si è arrivati a quarantasette anni senza aver fatto tesoro delle esperienze vissute. Donnarumma riesce a coinvolgere il lettore grazie alla verosimiglianza del suo personaggio, con il quale è facile identificarsi poiché ci viene mostrato nei suoi lati più umani e autentici, e per questo talvolta anche contraddittori, come contraddittoria è assai spesso la vita. I personaggi, tranne qualche eccezione, sono indicati con la sola iniziale del loro nome: Ciò li sprofonda nella vita reale (non posso rivelare il nome per intero – sembra dire l’autore – altrimenti queste figure sarebbero identificabili) ma nel contempo li erge ad archetipi, a figure ancestrali, a possibilità dell’agire umano.