Visioni d’abbandono. Giuseppina Sciortino e il suo romanzo in versi

Visioni d’abbandono. Giuseppina Sciortino e il suo romanzo in versi

Recensione di Gianfranco Cefalì

Come sempre devo essere sincero con voi. Non ne capisco molto di poesia. È una mia mancanza, in questo caso, come in molti altri, sono un ignorante. Ignorante nel senso etimologico del termine: mancanza di conoscenza.

Nella mia adolescenza, infatti, i vari Rimbaud, Baudelaire, Verlaine e tutti gli altri non esercitavano su di me alcun fascino. Mi sono sempre definito un sognatore realista e questo non so proprio se considerarlo un bene o un male e, soprattutto, non so bene se questa cosa sia stata influente sul mio scarso interesse per la poesia.

Ricordo anche che avevo, e ho ancora da qualche parte a casa dei miei genitori, “Poesie del disamore” di Cesare Pavese, non che ne ricordi qualcosa, anche perché, ne sono certo, lo “rubai” a un amico più grande di me solo per un semplice motivo: il titolo. Ero affascinato da quel titolo. Ne subisco ancora oggi il fascino e non so spiegarmi perché.

Allora voi, come giustamente dovreste fare, vi starete chiedendo il perché di queste mie riflessioni sul libro di Giuseppina Sciortino. Fate bene. Però adesso fatemi rispondere con calma.

Non ne saprò molto di poesia, ma conosco le parole, conosco il significato, conosco i significanti, conosco i segni. Ecco è proprio da qui che come sempre, almeno dal mio modesto modo di vedere, si dovrebbe partire.

Perché prima di tutto, che sia poesia o prosa, prima delle costruzioni, prima delle rime, prima dei versi e della metrica troviamo sempre quell’insieme di lettere che formano le parole e da cui noi traiamo un nostro significato dall’insieme del tutto e vorrei comunque ricordare che questo tutto non è dato mai dalla semplice somma di tutte le sue parti.

Dopo aver letto questo libro, che per inciso devo dire ricorda molto un romanzo in versi, un autore mi è sbucato fuori dalla mente, ed è Charles Bukowski.

Sì, vi avevo detto di non avere particolare affinità con la poesia, però devo dire che per lo scrittore americano di origini tedesche ho sempre avuto un debole. Per questa passione devo ringraziare la mia compagna e poi successivamente devo ringraziare Simona Viciani. Comunque sono arrivato alle poesie di Bukowski tardi e ho sempre preferito, per deformazione professionale, la narrativa. Devo anche dire che odio le citazioni sui social media, quelle frasette copiate e incollate così tante volte che alla fine ci si chiede chi sia veramente l’autore originario. Tante volte è capitato e sarà capitato anche a voi di scoprire una poesia attribuita ad Alda Merini appartenere in realtà a un autore anonimo.

Ma ritorniamo a noi, altrimenti potreste avere l’impressione che io stia solamente perdendo tempo.

Come le parole dello scrittore americano, quelle di Giuseppina Sciortino sono parole di terra, di sangue, concrete e astratte allo stesso tempo, hanno il sapore del tempo che passa inesorabile sulla pelle e quell’odore che solo la solitudine, la rabbia, la desolazione sanno lasciare. Parole alle volte dure come il cemento e altre volte soffici come le nuvole, ma mai così astratte da non poterne individuare una direzione precisa e uno scopo urgente, imminente. Lo scopo preciso è quello di dare al lettore una visione dell’abbandono, uno sguardo allo stesso tempo cinico e poetico, reale e astratto, pop(olare) e altissimo, inclusivo ed esclusivo su di un sentimento, una visione che lacera dentro e lascia, spiazzati o indifferenti, pieni di ricordi e rabbia, facendoci sentire colpevoli e innocenti, giusti e sbagliati.

Parole e segni che hanno il gusto ferroso del sangue, quello non versato che circola in modo inesauribile nei corpi di ognuno di noi. Questo libro per me è stata un’esperienza ossimorica, facendomi viaggiare attraverso le parole in un continuo alternarsi di stati d’animo e sentimenti con forti contrasti. Un alone, di sicuro malinconico, avvolge il lettore che deve lasciarsi trasportare.

È stata una sorpresa per me questo libro, conoscevo Giuseppina Sciortino come autrice di romanzi e saggi, nella sua bibliografia infatti troviamo: “Campanili Siciliani. Viaggio con Mario Grasso nella Trinacria di «Ogni testa un tribunale», dei dialetti, soprannomi, proverbi e delle isole linguistiche” (Prova d’Autore, 2021), “Petali di rose, Madonne e carciofi” (Prova d’Autore, 2021), “L’obiettore di coscienza” (Eretica, 2019); un’autrice eclettica che oltre alla poesia si è ben cimentata con la saggistica e la narrativa, senza contare che è autrice e curatrice del blog “Zurumpat”, dove si occupa di recensioni, scritture creative e traduzioni poetiche.

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