Vera. Seconda parte di un racconto poliziesco

Racconto di Salvatore Conaci

Dopo il casino con mia moglie, sono tornato a vivere in Calabria, la mia terra natia, dopo anni fuori. Il tempo è stato l’unica cura efficace tra le tante che mi sono state proposte, e sto rimettendo in piedi una vita che sembrava fottuta, persa per sempre. Oggi so di nuovo sorridere, e accetto quel tanto di casi che mi permette di vivere dignitosamente, senza più strafare. Con Calma. Ricordandomi che c’è ancora ossigeno da assaporare, tra un ingaggio e l’altro.

Attualmente mi trovo nella parte meridionale della Sila, a Verna, un paesino a milletrecento metri di altitudine, fatto di bruma, sussurri e lupi.

Il proprietario di una grossa struttura turistica mi ha assunto come mystery client per testare il nuovo gestore di uno dei ristoranti. Pare che proponga ai clienti pietanze fuori menù dai costi esorbitanti, intascandosi la differenza con una cena regolare. Ne ho visti tanti, in giro, di tipi come lui. Me lo immagino già: belloccio, ambizioso e convinto di essere più furbo degli altri. In realtà, è solo un altro porco che ama grufolare in due trogoli. Finché glielo permettono, è chiaro. Per lui sono solo un turista, e mi fermerò per una settimana.

È sera, ho appena terminato la mia prima incursione a cena, ma non si è presentata l’occasione di agganciarlo. I porci fiutano subito il pericolo: meglio non forzare la mano. Esco per una sigaretta. Il cortile è affollato, decorato con zucche illuminate, mostri e ragnatele appese qua e là sulle teste degli ospiti. Halloween è una americanata!, mi diceva quella testa di cazzo del professore di religione del liceo. Tutte balle, gli antropologi parlano chiaro: Halloween è una festa calabrese esportata nel mondo. Lo sanno tutti, tranne i professori di religione teste di cazzo.

In questa nebbia arrossata dalle lanterne sembriamo tutti anime in un purgatorio festante. La musica folk batte così forte che la gente sembra aver dimenticato il gelo di fine ottobre. C’è un chiosco. Mi avvicino e mostro il mio badge tutto-compreso. Ordino una grappa artigianale qualunque e mando giù d’un fiato, con noncuranza, a occhi stretti, dimenticando che qui sanno come fare una grappa, dannazione. L’ho ingurgitata con troppa veemenza, come se mi odiassi. Come una punizione per me stesso. Ho il fuoco in gola, ma il dolore dura poco: al bancone, accanto a me, appare un angelo in cappotto nero.

 

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