Vera. Prima parte di un racconto poliziesco

Racconto di Salvatore Conaci

Sono Patrizio Rei, investigatore privato. Amo la letteratura. Odio i treni. E non dovete rompermi i coglioni.

Due anni fa ho rischiato la galera perché ho scoperto che mia moglie mi tradiva col mio migliore amico. Be’, perché l’ho scoperto nel momento sbagliato, s’intende. Il pomeriggio della scoperta, pedinavo proprio lui, quel figlio di puttana del mio amico. “Di colpo è diventato strano, freddo, non sta mai a casa!”, mi aveva miagolato quella sgallettata di sua moglie, il giorno dell’incarico.

Anch’io mancavo spesso da casa. Il mio merdosissimo lavoro, sapete… e così, mi metto a pedinare un amico per capire chi si scopa, e insieme — lui nella sua auto, io nell’ombra — arriviamo a casa mia, e scopro che la scopata che vale un divorzio è mia moglie. Dolce, stupida Irene, che riposi in pace. Non sapeva delle telecamere con controllo da remoto, non sapeva che meglio col diavolo che con me. All’improvviso, la mia piccola Irene sembrava non avere la minima idea di chi fosse davvero suo marito.

Quel giorno, mi interessai alla mia dimora profanata come non facevo da anni. Era servito il tradimento di mia moglie per farmi controllare ogni singola, fottutissima stanza. Era servita la morte del mio matrimonio per farmi trascorrere un’intera mattinata entro i confini del mio vialetto. Santo cielo, Irene, davvero? Nella casa di un ispettore privato? Avevo registrato tutto, cazzo. E solo alla fine della ripresa, solo dopo aver svuotato una fiaschetta da giacca, aprii la porta, stordito e incazzato. Li beccai ancora nudi come vermi, sul divano del salotto. Vidi le loro facce terrorizzate.

Dopodiché, mi ritrovo solo pezzi scompagnati di ricordi: sangue, panico, una corsa in treno, il mio arresto, e infine un poliziotto che mi rilasciava. Mi fece le sue condoglianze, lo sbirro, e mi disse che il casino, nel salotto di casa, non lo avevo fatto io, ma quel coglione del mio amico. Preso dal panico, lo stronzo mi aveva aggredito — avevano appurato, dopo aver scoperto le telecamere — sfruttando la mia sbronza, e aveva colpito a morte mia figlia e mia moglie che avevano provato a salvarmi. Alla fine, mentre ero ancora a terra tramortito, aveva preso la mia pistola, e anziché finirmi si era piantato un colpo al centro della fronte. Va’ a capirlo, il cervello umano: si fa prima a decifrare il manoscritto di Voynich.

Se non sapete cos’è, siete solo delle teste di cazzo, e quindi che ci parlo a fare, con voi? Comunque, ripresa conoscenza, la mia vita era finita: vederla sparsa lì, ai miei piedi, come una cosa usata e gettata in attesa di decomporsi, deve avermi fatto perdere la testa. Ero sotto shock, cazzo. Da lì, la fuga inspiegabile in treno verso chissà dove. La fuga che mi aveva fatto apparire come il fottutissimo colpevole. Ma sto divagando, e questa è una storia lunga e già raccontata da troppa gente, troppi giornali, troppe TV trash del cazzo.

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