Uno, nessuno, centomila. Luigi Pirandello e l’apparenza
Articolo di Rosa Angela Papa già pubblicato per Zona di Disagio
“Notiamo facilmente i difetti altrui e non ci accorgiamo dei nostri”.
Viviamo nell’epoca dell’immagine, dove si pone attenzione più all’apparenza che alla sostanza, dove la ragione ha ceduto il posto all’aspetto esteriore, dove si può credere a ciò che più ci fa comodo o ci fa stare meglio, in un mondo in cui si può camuffare, confondere tutto o quasi e cosa ancora più triste giudicare in base a ciò che noi percepiamo.
Viviamo in un mondo pieno di maschere da indossare a seconda delle circostanze che si presentano: “C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.”. Ma “di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso.”
Uno nessuno e centomila è stato l’ultimo romanzo di Pirandello, la storia di “ un naufragio dell’esistenza”. Fu pubblicato tra il 1925 e il 1926, ma la sua gestazione risale al 1913. Apparve per la prima volta su una rivista letteraria “La Fiera letteraria” quando le riviste avevano un valore e soprattutto erano una grande fonte di attrazione e di ispirazione per i lettori.
Quest’opera è narrata in prima persona ed è suddivisa in otto libri e a loro volta suddivisi in capitoli dai titoli tutti allusivi. Un ‘opera in cui l’identità dell’io si frantuma e si dissolve nei “centomila” aspetti nei quali, di volta in volta appare.
“Sapete invece su che poggia tutto? Ve lo dico io. Su una presunzione che Dio vi conservi sempre. La presunzione che la realtà, qual è per voi, debba essere e sia ugualmente per tutti gli altri”.
Vitangelo Moscarda, era un uomo di ventotto anni, ricco e sposato, quando un giorno, in seguito a un’osservazione della moglie scopre di avere un naso diverso da quello che pensava.
“- Che fai?… – Niente, mi guardo qua dentro il naso…- Credevo ti guardassi da che parte ti pende.- Mi voltai come a un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: – Mi pende? A me? Il naso?”
Sembrava un episodio insignificante, ma da qui Vitangelo, chiamato in famiglia Gengè, cominciò a chiedersi chi mai fosse in realtà e si riscopre non in uno, cioè l’immagine che lui ha di se stesso, ma in tanti quanti sono i modi in cui appare agli altri, come, cioè, gli altri lo vedono.
Inizia quindi una vera e propria odissea… Da qui ha inizio il suo male, il vedersi allo specchio, il vedersi vivere.
“Perché bisogna che lei fermi un attimo in sé la vita, per vedersi. Come davanti a una macchina fotografica.”
Ecco l’atroce dramma: riscoprire in centomila Moscarda non solo per gli altri, ma anche per se stesso.
“Così volevo io esser solo. Senza me. Voglio dire senza quel me che io conoscevo, o che credevo di conoscere … e gli altri? Gli altri non sono mica dentro di me.”
Noi pensiamo di essere uno, ma gli altri come ci vedono? Ciascuno a modo suo, e noi siamo non uno, ma tanti, centomila, quanti sono gli altri che ci osservano.
Gengè si ritrova sull’orlo della disperazione, della solitudine e combatte per distruggere la logica della sua realtà e tutte le forme sociali che lo imprigionano. Dona la casa ad un poveretto sfrattato, regala gli averi ereditati dal padre usuraio, fonda uno ospizio, atti giudicati inaccettabili dai codici della società borghese. Egli sconvolge la propria vita, cerca un altro amore e nel sottrarvisi quando riconosce la follia cerca di uccidere l’amante.
Con questa violenta distruzione della sua forma Gengè finalmente giunge a una percezione nuova, dopo la scoperta di apparire «centomila» si scopre nessuno, perché l’idea che lui ha di sé non coincide con nessuno di quelle che gli altri hanno di lui, e non si sa quale sia la più giusta.
La moglie lo lascia e lui si ritrova a vivere nell’ospizio da lui fondato e in cui si rifugia. Finalmente è felice!
“Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo”.
Quest’opera è introspettiva in quanto rispecchia la psicologia dell’autore e mette in evidenza la crisi d’identità dell’uomo moderno, ma racconta anche l’inettitudine, la solitudine e lo smarrimento dovuta alla frantumazione dell’io e la sua follia che rimanda all’unicità della persona. Non mancano inoltre nell’opera momenti di umorismo che rendono il libro fluido e scorrevole.