A volte basta una piccola luce

Di Giuseppe Gervasi
Dal grande finestrone una nebbia fitta nascondeva le luci del paese.
Nulla davanti agli occhi, solo la grandezza immaginata e uno sguardo abituato ai giorni di sereno.
Una leggera pioggia dava voce alla serata, mentre il profumo delle castagne avvolgeva i muri di casa.
In mezzo al tavolo una bottiglia di vino, del formaggio e un po’ di verdura coloravano una tovaglia anonima, mentre
ognuno prendeva posto su sedie di paglia oramai vecchie.
Ad un tratto la luce si spense.
Un fiammifero si avvicinò ad una candela storta e tra ombre e poche parole la sera svaniva nel ricordo di un giorno triste, nascosto tra nebbia e pioggia d’autunno.
Il rumore secco di una finestra che il vento prese a schiaffi fece sobbalzare i cuori.
Papà si alzò per chiudere l’anarchico serramento.
Si assicurò che tutte le altre fossero pronte ad affrontare il vento.
Tornò a sedersi e con un piccolo coltello iniziò a sbucciare una mela rossa come il sangue.
La lama, un istante dopo aprendo la pelle di un uomo, diede un tocco di rosso ad un piatto vuoto e segnò la fine di una cena silenziosa.
Ogni cosa al suo posto, il pane nel suo antico contenitore, il formaggio lontano da topi indiscreti, il vino in una piccola cantina di legno e le olive a navigar nell’olio. Una scopa accarezzava il vecchio pavimento e le briciole vennero buttate in un secchio dell’immondizia, colmo da non poterne più.

Il giorno dopo avrebbe riempito carretti trainati da asini tirati da mani nere, strette su corde bianche e sporche.

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