Un treno come chiave di volta per respirare meglio

Articolo di Angelo Maddalena
Giovanna, di Ascea, chiede come fare per chiedere il rimborso, perché l’Intercity ha più di mezz’ora di ritardo. Le dico che con Stefano abbiamo fatto un biglietto autoridotto, e abbiamo risolto il problema alla radice. Una volta un ferroviere mi disse: “Dovreste farlo in tanti, protestare attivamente, non fare il biglietto e comunicarlo”.
Nel 2005, dopo l’incidente di Crevalcore, come ricordo nel mio monologo Amico treno non ti pago, un ammutinamento di pendolari decisi a non pagare, ottenne molti più risultati di anni di concertazione sindacale. Si tratta di una cosa elementare, anche se lo abbiamo dimenticato in molti: bisogna gridare o comunque insistere dal basso per ottenere quello che formalmente non viene dato o viene dato per scontato, ma se non lo chiediamo fortemente accumuliamo frustrazione e senso di impotenza. Proprio nel treno in cui Giovanna di Ascea voleva chiedere il rimborso, appena salito a Praia a mare, c’era aria fredda. Sono andato subito a dirlo al capotreno e ha regolato la temperatura. Una coppia di sessantenni si era già equipaggiata con maglioni e giacche, rassegnata, per la pigrizia di non chiedere un minimo di spettanza. Ricordo che tanti anni fa mia madre si mise a urlare all’ufficio postale del mio paese, rivolgendosi a un’impiegata che perdeva tempo nello sbrigare una pratica, però dopo le urla (“Avà Pinù, e allibertati, e chi cazzu!”) di mia madre, l’impiegata si mise a fare alacremente quello che prima faceva con i suoi comodi trascurando l’esigenza degli utenti.
Curioso notare che alla fine degli anni ‘90, a Milano, avevo raccolto casualmente la testimonianza di un neo laureato in scienze politiche all’Università Cattolica, che era in attesa del suo primo impiego. Mi disse semplicemente che viaggiava sui mezzi urbani senza biglietto: “Fin quando non avrò lavoro, io non avrò soldi per pagare il biglietto, e viaggio gratis”. Poi parlai sempre casualmente con un educatore di un centro di aggregazione giovanile, a Milano. Mi disse semplicemente: “Chi va da casa sua al posto di lavoro non dovrebbe pagare un biglietto di un mezzo pubblico”. Dirlo adesso sembra strano, ma fino a venti o trent’anni fa era, più che normale, semplice. Fino a cinquant’anni fa l’Italia era uno dei paesi più all’avanguardia nella rivendicazione di “pago meno o niente se il mio salario è basso”, Dario Fo ci ha fatto uno spettacolo teatrale. In Francia meno di quindici anni fa uscì un libello sulle Autoriduzioni italiane. Quindi è questione di memoria storica cancellata.
Solo che negli ultimi anni, quello che doveva arrivare dal basso, da movimenti di lotta popolare come il movimento Notav – in cui c’è stato qualche barlume, tipo il documento Allarme agli ammutinati delle vie ferrate del 2005, ma molto poco valorizzato e ascoltato – o da movimenti ecologisti (qualche barlume arriva ma sempre troppo tenue, e purtroppo arrivano più frequenti i segnali di narcisismo e masochismo, uno fra tutti: io pago tutto per dimostrate di essere onesta e legale, contro quelli come Berlusconi che sono disonesti e mafiosi, si veda sketch nel monologo Amico treno non ti pago, preso dalla realtà!, così come altri aneddoti in tal senso sempre nello stesso monologo), ecco che i segnali arrivano dall’alto, dalle Istituzioni, tipo il Lussemburgo che dal 2020 ha istituito trasporti gratuiti in tutto il paese, così come la Germania e la Spagna l’estate scorsa e anche pochi mesi fa, con proposte di abbonamenti a 9 euro al mese per i mezzi pubblici e cose del genere.
Nel mio laboratorio di militanza quotidiana che ha dato vita al libro e monologo Amico treno non ti pago ho incontrato due testimonianze preziose: una signora dell’alta borghesia francese che sul treno Thalis dove io ero senza biglietto e gliel’ho dichiarato, mi ha risposto così: “Fai bene, i treni sono così cari che ti costringono a viaggiare in macchina, a meno che non hai tanti soldi come nel mio caso o non prenoti un mese prima, le trains ne sont pas pour tout le monde, e la tanto sbandierata sostenibilità rimane una parola vuota e un’ipocrisia bella e buona se non cominciamo dal basso ad abbattere i prezzi dei biglietti”.
Poi una volta un ragazzo mi disse. “Tu salvi l’ambiente, ognuno di noi salverebbe e può salvare l’aria e la terra e le creature, se solo si impuntasse e rivendicasse attivamente, dal basso, un trasporto pubblico gratuito o quanto meno biglietti autoridotti. Il legalismo degli ultimi anni, anche di movimenti e ideologie alternative, sedicenti popolari ed equo solidali, non lascia molto spazio, purtroppo, a riflessioni e azioni in tal senso, quindi bisogna andare oltre. Solo individualmente e comunicandolo, raccontando, si può vincere questa sfida. Soprattutto oggi, in un tempo in cui le stazioni dei treni sono sempre più simili a lager simbolici, dove sei costretto a fare biglietti per entrare nelle aree dei binari, dove sei sequestrato nelle metropolitane se non hai un biglietto per entrare e uscire, e dove, come in certe stazioni, c’è una apartheid e un doppio controllo tra chi viaggia nei regionali e chi con ITALO o le varie frecce.
Quindi, giovedì scorso sono andato da Praia a Mare a Roma con un biglietto fino a Salerno, regionale, e ho viaggiato sull’Intercity, non mi hanno chiesto il biglietto, ma con Stefano (anche lui senza biglietto fino a Salerno), ci siamo detti che se uno non ha il lavoro (lui, che richiama il neolaureato di Milano di trent’anni fa), se ci sono i ritardi (ricordate Giovanna di Ascea?), se c’è l’inquinamento che incombe, non possiamo proporre dei biglietti autogestiti LIR? (Lavoro, Inquinamento e Ritardo, tre motivi per non pagare o pagare meno?!).
Al ritorno da Roma ho fatto un biglietto fino a Formia, il capotreno su Italo mi ha detto che non potevo viaggiare, e io le ho riassunto in poche parole, a bassa voce (scena teatrale, io siciliano, lei napoletana), queste decine di righe, e lei mi ha detto “A livello personale ti vengo incontro”, e se n’è andata senza farmi né multe né niente (poi le ho regalato un mio libro!). Umanintà, poesia e romanzo, teatro e fantasia possono diventare vita quotidiana? Don Tonino Bello la pensava così, riferendosi ai politici, in un discorso del 1985: “Io penso che i politici, se vogliono essere onesti col mondo che intendono servire devono essere mistici e artisti nello stesso tempo”.
E se fosse questione di mistica e creatività, la chiave di volta per svoltare?