Un respiro al dolore
Racconto di Wanda Lamonica
Ecco la piccola pozzanghera delle 18.30. Occhi addosso occhi addosso. Donna Lucrezia ha appena rovesciato la bacinella del malocchio dal suo piccolo balcone, dove da anni castiga un grande gelsomino in un vaso troppo stretto. L’ha versato di nuovo sulla strada, quell’intruglio misterioso, proprio vicino al marciapiede. La nuova macchia si aggiungerà a tutte le altre, ormai vecchie, assorbite passivamente dall’asfalto come un ubriaco strafatto davanti all’ultimo bicchiere di bianco. Illuminate ad intermittenza dalle luci delle auto di passaggio, alcune gocce di olio brillano come frammenti di stelle scaraventate a terra. Roger annusa tutto intorno. Poi, con uno scatto, si allontana dalla misteriosa soluzione d’acqua purificatrice.
Occhi addosso occhi addosso. Donna Lucrezia termina il suo rituale catartico con una specie di segno circolare sul petto. Eccola, Donna Lucrezia, 50 chili di sessantenne, vedova, stretta in una veste nera, con un grembiule arrotolato in vita e uno scialle di lana pesante sulle spalle ossute. Un ciondolo, di quelli che custodiscono piccolissime immagini all’interno, si muove sul suo collo, insieme a lei. Mi saluta sollevando un braccio, poi recupera un tappetino da cucina poggiato sulla ringhiera e ritorna in casa. Sparisce dietro tende pesanti, rapita dalla luce gialla di una cucina come tante, con i vetri delle finestre appannati e la vita di tutti i giorni, a fluttuarci dentro. Roger abbaia ad un paio di gatti che si azzuffano vicino ad una siepe. Il mare, in lontananza, a quest’ora, è soltanto una striscia liquida che sorregge un cielo ormai stanco. Passeggiamo. I profumi di Gennaio sono puniti dal gelo. Ci mettono un po’, a rianimarsi, nelle narici. Sulla via del ritorno, rivedo Donna Lucrezia. Adesso ha un lungo cappotto nero, i capelli raccolti con un fermaglio. Cammina verso di me, a passo lento. Da quando ha perso anche il figlio, l’unico, Donna Lucrezia, non ha più fretta. Né pace, né serenità. Divide le sue giornate con la solitudine, il suo bucato è sempre scuro. I giorni, i mesi, le stagioni, sono tutti tristemente uguali.
Occhi addosso occhi addosso. Chissà cosa chiede, a quella bacinella. Chissà se due fotografie ci stanno strette, in quell’unica, piccolissima medaglia. Soli. Si rimane soli. E forse, i vicini, si chiamano così soltanto perché sono vicine le loro case. Si sceglie, ormai, persino chi voler aiutare. Donna Lucrezia mi viene incontro, mi saluta con un sorriso dolce e antico. Abbassa gli occhi, poi prosegue il suo cammino. In piazza, stasera, c’è un comico abbastanza conosciuto. Che difficile, dev’essere, far ridere la gente. Far riposare nei cuori delle persone, per qualche attimo, dispiaceri e brutti pensieri.
Spero che Donna Lucrezia stia andando lì. A volte ci si sente persino in colpa, ad allontanarsi un attimo da un tormento che fa troppo male. Perché distrarsi da una sofferenza è qualcosa che ti concede respiro. E ti sembra persino di rubarlo, quel respiro, al tuo dolore.