Gli ultimi saranno i primi

Gli ultimi saranno i primi

Racconto e foto di Daniela Grandinetti

Costantino, classe 1954, era quel che si dice un bravo cristiano, non perdeva una messa la domeniche fin da quando aveva tre anni. Di indole docile e buona, la lezione che aveva imparato meglio di ogni altra era quella della parabola evangelica in cui Gesù afferma: “beati gli ultimi, poiché saranno i primi a entrare nel Regno dei Cieli”.

La nonna Rachele glielo ripeteva ogni qual volta tornava in lacrime da scuola perché qualche prepotente l’aveva malmenato per sottrargli il panino con la mortadella, o le figurine della collezione degli animali che, dopo quelle dei calciatori, era la cosa alla quale teneva di più al mondo. Gli diceva: “non piangere Costantino, ricordati sempre che gli ultimi saranno i primi”.

A scuola Costantino era sempre stato negli ultimi banchi, da studente mediocre qual era, tuttavia aveva finito col prendersi il diploma di ragioneria. Amici ne aveva sempre avuti pochi, ancor meno svaghi, vuoi per le condizioni economiche della famiglia ai limiti dell’indigenza, vuoi perché trascorreva il tempo libero all’oratorio e mentre gli altri ragazzini giocavano a pallone, lui rimaneva a guardare, ché tutti lo sapevano che era una schiappa.

Si consolava facendo il chierichetto e quando qualcosa non andava per il verso giusto si consolava ripetendo “gli ultimi saranno i primi” anche dopo che nonna Rachele se n’era volata via. Non che riuscisse davvero a comprendere quale fosse la meravigliosa ricompensa che ne avrebbe avuto, a parte una vaga idea di paradiso, ma il pensiero bastava a rincuorarlo.

A ventitré anni, per Costantino arrivò l’impiego in un ufficio postale di una frazione a trenta chilometri da casa in mezzo alle montagne. Per arrivarci doveva alzarsi ogni mattina alle cinque e prendere due corriere al giorno. Non era entusiasta all’idea di finire a fare l’impiegato, ma dopo aver fatto il manovale, il panettiere e il barista nel bar dello zio Arturo che lo canzonava dalla mattina alla sera, pensò che con il diploma in tasca quella era la cosa migliore che potesse capitargli: un posto fisso con relativo stipendio sicuro.

Fin dal primo giorno di lavoro, in ufficio Costantino fu la vittima predestinata di ogni sorta di prepotenza, quello a cui tutti mettono i piedi in testa, ché ovunque ce n’è uno: o stava seduto a una scrivania a mettere bolli e archiviare cartacce mentre il suo collega se ne stava allo sportello a dispensare pensioni, sorrisi e raccomandate (riscuotendo caciotte, salami e uova fresche) o era quello al quale le colleghe si rivolgevano piangendo sulla sua spalle per i figli o i genitori malati, con il risultato che Costantino finiva per coprirle per interi turni di lavoro.

A venticinque anni Costantino sposò Angelina. L’aveva conosciuta in chiesa e gli era sembrata, se non bella, almeno una brava donna con la quale mettere su famiglia. Tuttavia, a poche settimane dal matrimonio, Angelina si era rivelata pretenziosa e arcigna. Aveva sempre da ridire sul loro tenore di vita ed era lei a dettare le regole della vita familiare.

Ad esempio, quando alla domenica Costantino avrebbe voluto godersi 90° minuto alla tv, Angelina voleva a tutti i costi che uscissero per la passeggiata domenicale sul corso. Oppure pretendeva che le luci a una certa ora fossero spente, perché la corrente elettrica costava e non avevano soldi da sprecare. Infine, un giorno in cui Costantino era tornato a casa stanco e depresso, lei gli aveva intimato che dovevano avere una macchina, che tutti l’avevano e loro non potevano essere da meno. Al terzo anniversario di matrimonio Costantino aveva due figli e rate per vent’anni.

Si era dovuto cercare un secondo lavoro, per non sentirsi ripetere da Angelina che era sempre ultimo e se non era buono per fare carriera alle poste, che almeno si trovasse qualche altra cosa da fare, ché lei a campare la famiglia con la miseria dello stipendio statale non ce la faceva.

Costantino, come aveva imparato fin da piccolo, stringeva i denti e andava ripetendosi che tanto gli ultimi sarebbero stati i primi. Finì per trovare un lavoro al pomeriggio nello studio di un avvocato, a nero e pagato male, dove in sostanza batteva a macchina atti noiosissimi tutto il tempo.

La sera rientrava a casa così stanco che aveva voglia soltanto di mangiare e andarsene a letto. E quando Angelina, come spesso accadeva, lo sollecitava ad assumersi le sue responsabilità di capofamiglia, quando i figli commettevano qualche marachella, tutto quello che Costantino riusciva a fare era rivolgere loro uno sguardo bonario dicendo “questo non si fa”, oppure “devi comportarti bene”, o al massimo “devi essere ubbidiente”. Così finiva sempre che Angelina gli rimproverava di non aver polso, di non saper educare i figli, di non essere buono a farsi valere né in casa né fuori. Ma Costantino non se ne curava, tanto per lui gli ultimi sarebbero stati pur sempre i primi.

Una domenica mattina, durante la messa, c’era Don Franco dal pulpito a fare l’omelia con la sua voce tuonante che risuonava tra le navate come una minaccia. Costantino, come d’abitudine, era nel banco della seconda fila che ascoltava attento, accanto ad Angelina che sfoggiava il suo collo di volpe e i figli che rumoreggiavano inquieti.

Don Franco quel giorno spiegava come si deve comportare un bravo cristiano, quanto sia importante rispettare le leggi di Dio ancor più di quelle degli uomini. E qui successe una cosa strana: mentre Costantino ascoltava, per la prima volta gli capitò di provare una sorta di fastidio, una puntura nel petto. La voce di Don Franco gli era estranea, quasi la udisse per la prima volta. Il parroco era invecchiato, ma era pur sempre colui con il quale da bambino aveva servito la messa.

“Perché ricordatevi – tuonò Don Franco avviandosi verso una delle sue conclusioni solenni – solo ai puri di cuore appartiene il regno dei cieli. Là, dove gli ultimi saranno i primi!”

A quel punto il sacerdote baciò le pagine sul leggio e si inginocchiò in preghiera. I fedeli se ne stavano con le teste chinate, quando a un tratto si udì una voce che squarciò il silenzio.

“E no! E basta! Ecchecazzo! – l’imprecazione veniva dalle prime file della navata centrale – e mo’ basta. Mi sono stancato co’ sta’ storia degli ultimi!”

Costantino, in piedi davanti all’altare, aveva il cappello in mano e le vene del collo gonfie per lo sforzo, (era pur sempre la prima volta che urlava in vita sua). Angelina, presa alla sprovvista, lo guardava allibita, incapace di reagire. I figli invece avrebbero riso volentieri, se ne avessero avuto il coraggio.

“Basta. Sono stufo di essere ultimo. E diciamolo una volta per tutte: ci sono pure i primi. Si vive di merda da ultimi! Che mi importa di essere primo di là? Che ne so io che c’è di là? Io voglio essere primo di qua, di qua. Capito? Di qua!”

Aveva addosso gli sguardi di tutta la piccola comunità del quartiere, che da sempre lo aveva conosciuto come un uomo mite, un buon cristiano, ma lui sembrava non vederli, neanche li degnò di uno sguardo. Si rimise il cappello, voltò le spalle all’altare e si avviò a gran passi verso l’uscita, lasciandosi dietro uno stuolo di bocche aperte, compreso Don Franco che sull’altare era rimasto in ginocchio e senza parole, per non parlare di Angelina, paralizzata dalla brutta figura.

Poi, un attimo prima di uscire dalla porta laterale, Costantino si fermò.

“Pure Cristo avete messo in croce con la scusa che vi dovevate salvare! E allora vi avverto: io dannato voglio essere da oggi in poi! Dannato!”

Così dicendo, infilò la porta e sparì.

La piazza era affollata di sfaccendati domenicali e di piccioni. C’era un bel sole tiepido. Costantino camminò incurante tra i volatili che lo scansavano. Mentre camminava a passo svelto e deciso, fu colto da un’irrefrenabile voglia di paste alla crema. Solo a quello riusciva a pensare: alla vetrina del pasticciere, alle paste piene di crema, di cioccolato e di panna.

Strafogarsi, senza che Angelina stesse lì come un gufo a ripetere che doveva stare attento allo zucchero che, prima o poi, invecchiando, il diabete sarebbe arrivato e l’avrebbe pagata. Strafogarsi, una volta per tutte.

Si diresse verso la pasticceria all’angolo senza voltarsi.

 

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