Siamo tutti come Ulisse. Giorgio Battistella e la “Divina Commedia” raccontata nella piazza di Diamante

Siamo tutti come Ulisse. Giorgio Battistella e la “Divina Commedia” raccontata nella piazza di Diamante

Articolo e foto di Adriana Sabato

Siamo tutti un po’ Ulisse: la sete di conoscenza ci divora e forse, e sottolineo forse, ci porta anche all’autodistruzione. Osiamo troppo, diventiamo tracotanti e veementi di fronte all’infinito. Ancora: la nostra ostinazione ci conduce a voler sempre interpretare tutto ciò che ci circonda collocandolo e imprigionandolo fra le mura della nostra ‘impeccabile’ razionalità e la nostra erudizione… Dovremmo lasciarci un po’ andare!

Dante Alighieri scrive nel quattordicesimo canto del Paradiso:

E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce
tintinno a tal da cui la nota non è intesa,
così da’lumi che lì m’apparinno s’accogliea per la croce una
melode che mi rapiva sanza intender l’inno …

così da quelle luci che lì mi apparvero si diffondeva lungo la croce una melodia che mi estasiava con la sua dolcezza, senza che io riuscissi a capire le parole del canto. come a colui che non intende e ode.

Anche se non comprendiamo bene il significato dei suoi versi e ricorriamo dunque alla parafrasi, resta, nel succedersi dei versi, una bellezza che ha dell’incomprensibile. Si può anche comprendere l’ossatura dei versi analizzando i suoi elementi costitutivi, però il messaggio è inafferrabile. Il messaggio, come diceva Mozart ragionando di musica, è fra le note. E in Dante il messaggio, i messaggi, si prestano alle interpretazioni più impensate: la lunga storia della Lectura Dantis lo dimostra ampiamente. In fin dei conti, noi non sapremo mai cosa pensasse davvero il sommo poeta nel fare la stesura della sua opera letteraria più famosa.

Ma noi siamo tutti un po’ Ulisse: una delle riflessioni emerse nel corso del Tour dantesco svoltosi a Diamante è stata l’occasione per ascoltare Dante attraverso la voce di Giorgio Battistella, il professore trevigiano che in bici racconta in chiave moderna e contemporanea il “Viaggio di Ulisse”, tratto dal Canto XXVI dell’Inferno.

Personaggio della mitologia greca, Ulisse compare per la prima volta nell’Iliade.

Ma l’opera che lo rende famoso è l’Odissea, in cui viene narrato il suo lungo e avventuroso viaggio pieno di insidie e prove di coraggio e intelligenza. Un viaggio dal quale Ulisse non vuole tornare: non bastano l’amore per la moglie Penelope e per il figlio, non basta neanche la pietà per il padre. Anche il personaggio descritto da Dante è un viaggiatore in cerca dell’ignoto restìo a tornare nella sua terra e che, addirittura, arriva a morire per soddisfare la curiosità di conoscere. Il viaggio, l’unica sua ragione di vita. Dante mette Ulisse all’Inferno insieme a Diomede accusato di aver dato consigli menzogneri quando era in vita e, quindi, di aver ingannato il prossimo.

“Il desiderio di conoscenza abita nell’essere umano e sconfina con l’infinito, ha esordito il professore”. L’interpretazione delle opere d’arte come la Divina Commedia ha sempre a che vedere con l’esplorazione della condizione umana. Le opere d’arte non sono di proprietà dell’autore, ma diventano patrimonio dell’umanità nel momento in cui vengono conosciute. E in natura, come nella creazione, esiste un qualcosa che va aldilà della soggettività dell’autore che le produce ed ognuno di noi resta, infatti, attratto e coinvolto da ciò che quelle opere esprimono, e in qualche modo tutti vorrebbero offrire una propria interpretazione. È l’intento di tutti.

La forza di Ulisse non è solo nel braccio ma anche e soprattutto nella mente che mette a servizio dei suoi uomini. E Dante colloca Ulisse insieme a Diomede nell’ottava bolgia infernale, nell’ottavo cerchio, quello delle Malebolge, che appare come un luogo profondo e oscuro. Il Sommo poeta viene attirato dall’esistenza di due fiammelle in cui si trovano per l’appunto Ulisse e Diomede. Dante chiede se i dannati possono parlare dentro il fuoco e prega Virgilio di far avvicinare la duplice fiamma, tanto è il desiderio che lui ha di parlare coi dannati all’interno. Virgilio risponde che la sua domanda è degna di lode, tuttavia lo invita a tacere e a lasciare che sia lui a interpellare i dannati, perché essendo greci sarebbero forse restii a parlare con Dante.

Il poeta latino chiede a Ulisse di raccontare le circostanze della sua morte e l’eroe acconsente scuotendo la fiamma che lo avvolge come una lingua che parla ed emette voce. Ulisse incomincia a raccontare il suo allontanamento dall’isola dove la maga Circe lo voleva trattenere ma lui ebbe la forza di ripartire. E già qui una prima metafora del suo viaggio: esiste una tensione umanamente comprensibile fra il desiderio di restare in un posto comodo e confortevole e quello di partire, ma in Ulisse è bruciante il desiderio di conoscenza. Non tanto il desiderio geografico ma l’orizzonte infinito, quello celato in ognuno di noi, un mistero insondabile, un universo che è la condizione umana.

Capire cosa sia la propria vita. Un messaggio universalmente valido. Con tutte le proprie altezze e bassezze e dunque Ulisse, volendo affrontare questa volontà di conoscenza affronta il mare che è profondo “misi me per l’alto mare aperto”. Una decisione ben ponderata e misurata, non impulsiva, ma ragionata. E accanto a sé ritrova alcuni compagni: una ricerca spasmodica che li porta a vagare lungo il Mediterraneo verso occidente, dove il sole tramonta, proprio lì c’è qualcosa che affascina, attira. Lo Stretto di Gibilterra e dunque le antiche Colonne d’Ercole, luogo di divieto.

C’è da aggiungere che, mentre le antiche divinità non amavano che gli uomini alzassero troppo la testa, invece tradizione di fede cristiana di Dante il desiderio di conoscenza non viene impedito, ma l’avvertimento è chiaro, attenzione ad essere in grado di gestire le conoscenze che avrai perché il rischio è molto alto: le scoperte sono fondamentali ma bisogna saperle gestire.

La narrazione del viaggio di Ulisse è estranea alla tradizione omerica e deriva probabilmente a Dante da un rimaneggiamento tardo dell’Odissea, che il poeta non poteva leggere nel testo originale. L’Ulisse dantesco è comunque simile a quello classico, dotato di insaziabile curiosità e abilità di linguaggio: giunto alle colonne d’Ercole, limite estremo delle terre conosciute, l’eroe rivolge ai compagni una orazion picciola che è un piccolo capolavoro retorico, una specie di suasoria con cui li esorta.

La fine di un mondo può essere l’inizio di un altro, dice Ulisse e “considerate la vostra semenza” a non perdere l’occasione di esplorare l’emisfero australe totalmente invaso dalle acque, dove non abita nessun uomo (il mondo sanza gente, come Ulisse lo definisce consapevole del fatto che è un luogo deserto). Il che è ovviamente un inganno, dal momento che non è possibile seguir virtute e canoscenza, né diventare esperti de li vizi umani e del valore esplorando un mondo disabitato: Ulisse vuole solo soddisfare la propria curiosità fine a se stessa, quindi trascina i compagni in un folle volo che infrange i divieti divini e si concluderà con la morte di tutti loro.

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