Tredici vite. Un survival movie dal volto umano
Articolo di Letizia Falzone
Dal 23 giugno al 10 luglio del 2018 il mondo intero è rimasto con il fiato sospeso.
Siamo in Thailandia. Mancano ancora diversi giorni all’arrivo della stagione dei monsoni. Un allenatore e dodici ragazzini di una squadra di calcio decidono di fare un giro turistico dentro il labirinto di grotte thailandesi di Tham Luang. Il gruppo percorre diversi chilometri a piedi. Intanto comincia a piovere prima del previsto. La grotta si allaga e le tredici persone sono impossibilitate a uscire. Due sommozzatori inglesi Richard Stanton e John Volanthen e un anestesista australiano Richard Harris proveranno a tirarli fuori da questo incubo di buio e silenzio.
Tredici vite è un survival-movie prettamente umanistico dove la mano del regista sembra accarezzare i suoi personaggi. Lo sguardo di Ron Howard è teso ad esaltare le reazioni dei singoli individui di fronte ad ostacoli ed impedimenti con un grado sempre maggiore di difficoltà.
Il lavoro sulla luce e soprattutto sul sonoro fa immergere lo spettatore in una esperienza empatica e fa avvertire nitidamente la claustrofobia di quei luoghi bui. Le scene dei sommozzatori che si infilano nei tunnel pieni d’acqua piovana (la grotta delle stalattiti) e che con le loro luci riportano alla visione un mondo sommerso sconosciuto, sono realistiche quanto avvincenti. In mezzo a questi elementi naturali ingovernabili (le correnti, le piogge monsoniche, i crolli delle rocce, la mancanza di ossigeno) spicca l’elemento umano coraggioso, generoso, solidale. Si muove tutto il mondo per cercare di salvare queste tredici vite: i contadini sacrificano le loro terre per dirottare l’acqua, i sommozzatori rischiano la vita, il procuratore e il governatore cercano di tranquillizzare la popolazione. In mezzo al tam tam mediatico c’è anche il tempo per una pausa di meditazione (i tredici fanno yoga per non cedere alla angoscia) e di religiosità (la popolazione del villaggio fa una veglia di preghiera permanente).
Un’operazione complessa e claustrofobica, pressoché unica nel suo genere. Una corsa contro il tempo, con gli occhi del mondo a fissare i soccorritori con il fiato sospeso e le piogge incessanti a complicare un quadro già ampiamente critico, mentre la mancanza di rifornimenti e l’abbassamento del livello di ossigeno rischiano di rendere vana la ricerca dei ragazzi.
Il regista premio Oscar Ron Howard dirige tre star di prim’ordine come Viggo Mortensen, Colin Farrell e Joe Edgerton.
Per la maggior parte del primo atto, Howard non usa musica nella colonna sonora, mantiene i dialoghi liberi e funzionali e fa molto affidamento sui diagrammi della rete di grotte per situare lo spettatore.
Il racconto di come i ragazzi vengono portati fuori, trainati come pacchi, è estenuante. Lo spettatore si ritrova a trattenere il fiato con il terrore primitivo di rimanere intrappolato sott’acqua e sottoterra. In una specie di Babele di lingue e di costumi, in un angolo ritagliato apposta, vivono le famiglie in attesa di notizie. La loro compostezza non viene mai meno: né nei momenti di gioia, né in quelli di dolore. Ed è un interessante aspetto culturale che viene ben sottolineato dalla regia.
Tredici Vite è una storia di speranza, di forza e di fiducia. È una storia di cooperazione all’insegna dell’assistenza, del sostegno e dell’aiuto del prossimo. Ron Howard fa percepire allo spettatore ogni goccia d’acqua, ogni morso della fame, ogni boccata d’ossigeno attraverso una regia che mischia le prospettive dei diversi personaggi. Chi è nella grotta, chi entra ed esce, chi attende fuori. Questo film quasi reportage dell’incidente di Tham Luang è lento ma lo è in modo positivo. La squadra di calcio rimase bloccata nella grotta thailandese per diciotto giorni e lo spettatore percepisce quest’attesa, quest’impotenza come se vivesse quei giorni nei 150 minuti di pellicola.
Sotto gli occhi della principessa sdraiata mentre il Belgio batte il Brasile e accede alle semifinali dei Mondiali, in una giusta commistione tra sacro e profano, Tredici Vite regala grandi emozioni e una importante morale profondamente affermata dalla veridicità della storia: quando vuole l’essere umano può essere davvero grandioso.