Tra i suoi pupazzi trovò la Terra Promessa

Articolo e foto di Martino Ciano
Non può vedermi, non può sapere che la sto ascoltando e che sto trascrivendo il suo discorso. Le rubo le parole, so che mi perdonerà. Lo sto facendo a fin di bene, almeno spero. Racconta del suo amore per le bambole. Le colleziona, se ne prende cura. Le dicono che non ha più l’età per questi giochi. Le suggeriscono di pensare ad altro, a faccende più importanti, ma lei se ne infischia. Quelli che le stanno intorno sono convinti che il mondo a un certo punto ti chiama a sé per assumerti delle responsabilità, tipo studiare, trovare un lavoro, produrre reddito, produrre figli, interessarsi ad altri oggetti o soggetti di consumo.
Voglio stare nella mia stanza, nella mia pace. Voglio vivere come un eterno Peter Pan. La mano mi trema un po’, la tazzina del caffè che stringo con pollice e indice viene scossa a sua volta. Affino l’udito. La sua voce è pacata. Dietro gli occhiali neri nasconde i suoi occhi; è non vedente, ma forse lei vede meglio di noi, osservatori del tutto e del niente allo stesso modo. In quelle bambole forse sta la difesa dal dolore, dall’attraversamento quotidiano della gabbia che ruota intorno al sole.
Non vedere è forse come non dialogare con l’inconcludenza delle forme, in favore di una più attenta valutazione dell’essenza? Non so, è una domanda che rivolgo a me stesso. Ma se anche fosse così, anche questa essenza sarebbe qualcosa di immaginato; magari, un agglomerato di sensazioni personali che si materializzerebbe in un Iperuranio privato, descritto con parole proprie, in cui, se vi penetrassimo, ci sentiremmo spaesati come il primo uomo nell’Eden subito dopo aver preso coscienza di sé.
Ma forse non bisogna andare troppo distanti o lambiccarsi il cervello. Sta tutto in quella volontà di non sentirsi sempre osteggiati, o peggio ancora ospiti indesiderati di un mondo che pretende quel continuo-fare, senza mai tener conto del sentire-personale. Eppure, anche da Eterni Peter Pan si corre il rischio di cadere tra le mani della crudele quotidianità. Forse già sono state dimenticate le bare bianche con dentro i cadaveri dei bambini naufragati a Cutro. Sarà stato un incidente, forse una tragedia. L’hanno chiamata in diversi modi, ma secondo me non esistono ancora le parole adatte per citarla.
Sarà che ogni sofferenza ha il suo tempo e il suo luogo; sarà che ogni essere umano insegue la propria pace; sarà che tra le bambole qualcuno trova la Terra Promessa; sarà che ogni pensiero si sperde e si spande senza mai giungere a ciò che ci è stato promesso.