Tra le scrittrici maledette: Virginia Woolf
Articolo di Letizia Falzone
Adeline Virginia Woolf nasce a Londra il 25 gennaio 1882 in una famiglia benestante. Il padre, Sir Leslie Stephen, è un autore e un critico, mentre la madre è Julia Prinsep-Stephen, modella. Virginia e la sorella Vanessa vengono istruite in casa, in un’atmosfera colta, infatti, la casa dei suoi genitori era frequentata da famosi scrittori del tempo quali Henry James e Thomas Hardy.
Nella sua giovinezza Virginia è vittima di due gravi episodi che la turbano nel profondo, segnandola inesorabilmente per il resto della sua vita: la tentata violenza sessuale da parte di uno dei suoi fratellastri nel 1888 e la morte della madre avvenuta nel 1895, con cui aveva stabilito un legame affettivo molto forte. In queste circostanze soffre di nevrosi, malattia che all’epoca non si poteva curare con farmaci adeguati. La malattia riduce di fatto la sua attività letteraria.
La giovane Virginia Stephen a poco più di venti anni diventa una scrittrice molto stimata, che collabora con il Times Litterary Supplement e che insegna storia nel Collegio di Morley.
Nel 1904 muore il padre. La scrittrice inglese è libera di manifestare tutto il suo estro creativo nella sua attività. Insieme al fratello Thoby e alla sorella Vanessa lascia la casa natale per trasferirsi nel quartiere di Bloomsbury. In quell’anno Virginia prende parte così alla fondazione del Bloomsbury set, un gruppo di intellettuali che domineranno la vita culturale inglese per circa un trentennio. Gli incontri tra gli intellettuali inglesi si tengono ogni giovedì sera: si discute di politica, arte e storia. In questi anni dà ripetizioni alle operaie la sera, in un collegio di periferia e milita nei gruppi delle suffragette.
Nel 1912 sposa Leonard Woolf. Nonostante la sua grandezza letteraria, continua ad avere numerose crisi psichiche; è colpita da una grande depressione da cui fatica a riprendersi. Ciò la porta anche a un tentativo di suicidio.
Quello tra Virginia e il marito Leonard non era certo un matrimonio come tutti gli altri. Si erano sposati consapevoli del fatto che non sarebbe stato un amore facile. Lui era uno storico, un saggista, un politico e anche un editore. Lei era una scrittrice sensibile e dominata dalle sue crisi depressive. Virginia aveva bisogno di amore, e quel bisogno dominò. Leonard sapeva amare, e quello fu il suo potere. Lei voleva tutto e niente da lui, ma ciò non le impedì di restare al suo fianco per trent’anni. E tornò da lui anche dopo la tumultuosa storia d’amore con la poetessa Vita Sackville-Wes, conosciuta nel 1921, che influenzò la stesura del celebre Orlando.
Questo romanzo, ambientato nell’epoca elisabettiana, segue la vita del protagonista Orlando, che reca sia tratti femminili sia maschili.
Virginia adorava l’oceano, il rumore delle onde, e il mare e la casa furono i temi fondamentali di romanzi importanti quali Jacob’s Room (La Stanza di Jacob), To the Lighthouse (Gita al Faro) e The Waves (Le onde).
Nel corso della sua vita, Virginia fu sempre interessata al ruolo della donna nella società e lavorò come volontaria nel movimento che combatteva per il diritto di voto alle donne, scrisse anche opere sull’emancipazione femminile come A Room of One’s Own (Una Stanza Tutta per sé – 1929) che ebbe un grande impatto sul movimento femminista degli anni ’60 e ’70 del ‘900.
Nel 1925 pubblicò Mrs Dalloway, in cui sperimentò le nuove tecniche narrative del tempo: il romanzo del flusso di coscienza in cui lo scrittore segue il flusso dei pensieri dei personaggi. In questo caso seguiamo il flusso dei pensieri di Mrs Dalloway nel corso di dodici ore mentre lei prepara una festa che si terrà la sera stessa a casa sua.
Virginia Woolf, come James Joyce e altri suoi contemporanei, adottò le nuove tecniche narrative che caratterizzarono i primi decenni del XX secolo. La scrittrice era convinta che la narrazione degli eventi in ordine cronologico fosse ormai un modo superficiale e imperfetto per presentare la vita. Era interessata a dare voce al mondo interiore dell’uomo, la cui coscienza era concepita come un flusso continuo di emozioni e impressioni.
A differenza di James Joyce però che esprime i pensieri dei suoi personaggi attraverso il monologo interiore talvolta portato a conseguenze estreme, Virginia controlla il flusso dei pensieri mantenendo ordine logico e grammaticale. La scrittrice narra le sue storie in terza persona, dando l’impressione che ci sia un legame tra mondo esterno e mondo interno. Mentre Joyce usa le epifanie, cioè un momento di rivelazione spirituale improvvisa, Virginia usa quelli che chiama Moments of Being (Momenti d’Essere), cioè rari momenti di grande intensità e percezione, che permettono ai personaggi di vedere chiaramente la realtà della loro condizione.
Woolf esplorò molti temi tipici del romanzo modernista quali ansia, crisi e difficoltà di comunicazione, ma trattò anche temi molto vicini a lei come la solitudine, la distinzione tra sogno e realtà, la malattia mentale e i pregiudizi nei confronti delle donne che impedivano loro di esprimere la propria identità.
Intanto i disturbi mentali continuarono a tormentare la scrittrice che era sempre sopraffatta da crisi di ansia e insicurezza. La Seconda Guerra Mondiale peggiorò le sue paure. Camminando per le strade di Londra distrutte dalla guerra, vedeva la disintegrazione del mondo che la circondava, inoltre cominciava a sentire voci nella sua testa e temendo di impazzire scelse l’unica strada possibile per lei: la “morte per acqua”. Il 28 marzo del 1941 decise di uccidersi, riempiendosi le tasche di sassi e annegandosi nel fiume Ouse. La depressione aveva vinto.
Al marito Leonard dedicò la sua ultima e straziante lettera, in cui non solo dava il suo addio alla vita, ma soprattutto a quell’uomo che le era stato sempre vicino, nonostante tutto e tutti. L’unico che forse avrebbe potuto salvarla, se lei non avesse rincorso così ostinatamente la morte.
“Carissimo,
sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono
Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto siamo stati noi“.
Per molti giorni Virginia non fu né viva né morta. Mancava. Era scomparsa. ‘Missing’ scrissero i giornali. Il 18 aprile 1941, un gruppo di ragazzini avvistò quello che sembrava un tronco trascinato dalla corrente. Per gioco gli tirarono i sassi, ma avvicinandosi capirono che si trattava del corpo di una donna in pelliccia. L’orologio al polso di Virginia Woolf era fermo alle 11.45, l’ora in cui si era abbandonata nel fiume, diversi giorni prima.
Leonard Woolf nella sua autobiografia spiega: “Da anni ero abituato a riconoscere i segnali di avvertimento che dava la mente di Virginia; e i sintomi della crisi apparivano a poco a poco e con chiarezza: mal di testa, insonnia, difficoltà a concentrarsi. Avevamo imparato che poteva evitare il crollo solo mettendosi subito in uno stato di ibernazione, o in un bozzolo di tranquillità, al primo apparire dei sintomi. Ma questa volta non ci furono segnali di preavviso. La depressione la travolse di colpo”.
E poi la descrizione di quel giorno maledetto. “Lavoravo in giardino, pensando che lei fosse in casa. Ma quando all’ora di pranzo entrai dentro, lei non c’era. Trovai una sua lettera sulla mensola del camino del soggiorno”.
Quella lettera colma di amore e morte che lui non avrebbe mai voluto trovare.
Di Virginia sono rimasti opera letteraria e pensiero al femminile: “Potete bloccare tutte le librerie se volete ma non c’è un cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente”. Virginia Woolf, fosse vissuta oggi, avrebbe detto #metoo.