La confessione. Lev Tolstoj e la fede dimenticata

La confessione. Lev Tolstoj e la fede dimenticata

Articolo di Martino Ciano

Il senso della vita è oscuro, il più delle volte, parlarne è una vana speculazione. La scienza dà spiegazione dei fenomeni, ma alle domande più importanti non sa rispondere. Uno in particolare è il quesito dei quesiti: qual è il nostro ruolo sulla faccia della Terra?

Camus nel suo Il mito di Sisifo fu ancora più diretto e critico verso la filosofia: nessuno ha indagato intorno al suicidio. La vita ha un senso? E la scienza anche se ha compreso in parte l’origine dell’esistenza, non ha saputo svelare il perché del tutto e, con molta probabilità, mai ci riuscirà. Allora, perché vivere? Ognuno tragga le proprie conclusioni, ma lo faccia senza giudicare le scelte degli altri.

1879-1882. Tolstoj scrive la sua confessione. Anche lui è quasi giunto al suicidio, anche lui non riesce più a dare un senso alla sua vita. Ricco, agiato, uomo di successo… nulla gli manca. Eppure, nella sua anima si affaccia questa terribile domanda: che senso ha la vita? Studia, legge, prende appunti, saccheggia le opere dei filosofi, i testi religiosi, si affida al Qoelet che già aveva detto tutto… vanità delle vanità, nulla di nuovo… un giorno viene e un altro va via, passano le generazioni, ma nulla resta dell’uomo, né la gloria né il disonore. Pertanto, Tolstoj quasi si convince che l’uomo deve solo vivere per il proprio momentaneo godimento, visto che tutto passa e niente resta tra le sue mani. Ma questa è quasi una visione epicurea e di certo non è una risposta soddisfacente.

Qual è dunque la risposta? In lui compare l’idea che solo Dio salva, che la fede è l’unica certezza, ma poi si guarda intorno e nota che non può fidarsi neanche di queste affermazioni, perché nel suo ambiente agiato vede solo credenti di facciata, ipocriti e burocrati della religione. I peggiori fra tutti sono i teologi, coloro che riempiono di vuote speculazioni la fede. Dio è sapiente, non è un erudito. Dio è al di là del giudizio, dell’etica e della morale. Morale, etica e norma sono limiti che l’uomo pone per far funzionare la sua malandata società. Dio è altro. Anche la Chiesa conserva in sé questi germi, perché predica l’amore ma benedice la guerra, perché propaganda la povertà ma pasce nel lusso. Dove sei Signore davanti all’ingiustizia? Un tizio di nome Giobbe si pose le stesse domande quando l’ira insensata del Signore si abbatté su di lui. Quale fu la risposta dell’Onnipotente? Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta del Mondo? E Giobbe si zittì.

Nonostante tutto, il buon Lev continua a pregare, a digiunare, a cercare Dio che forse è lì, dietro l’angolo, ma ancora non esce allo scoperto. Poi Lev decide di scendere tra i poveri, tra i contadini, i mendicanti, le prostitute, i diseredati, i condannati e gli uomini socialmente maledetti. Inizia ad ascoltare le loro storie e interroga loro sulla fede. Che rapporto avete con Dio? Ed essi rispondono di pazienza e di attesa, di amore e di reciproco aiuto, di dialogo sincero che ci spinge verso la volontà di vita. La vita è sempre un bene prezioso, da custodire. La vita non va disprezzata. Tutto viene da Dio e lui opera sempre bene, anche quando noi vediamo il male.

Si convince Tolstoj? Non del tutto, ma quanto meno allontana da sé molti aspetti negativi, tante domande trovano risposta, giacché sull’uomo pende un mistero senza soluzione e un irrisolvibile dilemma sul suo senso. E ciò cambia totalmente la sua visione. Ma Tolstoj ammette anche di non aver scoperto nulla di nuovo, perché queste domande l’umanità se le è poste fin dal primo momento e non è giunta a nessuna risposta definitiva… se non attraverso la fede.

Allora, a cosa serve leggere la Confessione di Tolstoj? Inutile porsi questa domanda. Voi studiatela e forse vi commuoverete, perché non esiste al Mondo uomo che non vada alla ricerca di Dio. Anche un ateo-materialista si affida all’immutabile, perché se è vero che tutto scorre, è anche vero che tutto potrebbe essere un’illusione, un gioco della mente, una tecnica di sopravvivenza.

5 settembre 1906. Ludwig Eduard Boltzmann è in vacanza con la sua famiglia a Trieste. Ha una vita tranquilla, ricca di soddisfazioni. Il mondo lo acclama per le sue scoperte nel campo della termodinamica, in particolar modo per quel secondo principio che introduce in tanti campi, anche nell’arte, il termine entropia. Attraverso un processo irreversibile nel tempo, ogni corpo cede calore al successivo, fin quando tutto è destinato a raffreddarsi e a immergersi nel caos. In un sistema isolato e ordinato tutto tende minuto dopo minuto a un grado maggiore di disordine. Sembra quindi che nulla intorno a noi sia mosso dalla ragione, ma solo dalla confusione. Dio anche è un pazzo scatenato che muove la sua opera così come gli gira in testa.

Ma che senso ha tutto questo? Boltzmann ama matematizzare. Boltzmann ama l’ordine e anche il disordine ha una sua logica. Boltzmann ha bisogno di mettere ordine nella sua vita e nella sua inquietudine. Troverà la risposta? Il 5 settembre 1906 si impiccherà… senza nessun apparente motivo.

Post correlati