Titanio e l’inferno di Stefano Bonazzi

Titanio e l’inferno di Stefano Bonazzi

Recensione e foto di Riccardo Sapia. In copertina: “Titanio”di Stefano Bonazzi, Alessandro Polidoro Editore

Titanio si presenta come una bomba a orologeria. Quello che dobbiamo fare, scorrendo le pagine di questo romanzo, è camminare in punta di piedi, senza farci sentire da nessuno dei personaggi, osservandone però le mosse di ognuno di loro, perlustrando tutti gli anfratti e, infine, lasciandoci ammorbare da tutti i miasmi che si levano dagli angoli di questa indimenticabile lettura. È, questo, il caso in cui non mi domando alcunché sulla veridicità dei fatti accaduti. Semplicemente, non mi interessa. La storia è nuda e cruda, ti prende sin dalle prime pagine per non abbandonarti più.

Titanio non ha inizio, e non ha nemmeno una fine. Titanio non ha santi e nemmeno demoni. Tutti sono presi a raccolta e gettati dentro questo mattatoio che è il quartiere Ciambella, dove “perdete ogni speranza, voi ch’entrate”. Dove vige la corsa alla sopravvivenza che ti obbliga a sottostare alla legge del più forte. Dove non esiste rifugio perché è tutta una grande piazza e a turno tutti vengono coinvolti in questo girone dell’inferno che è la vita lì dentro, nel quartiere Ciambella.

Fran è un tredicenne che si è macchiato di una colpa che non sappiamo. C’è anche un uomo che soffre, ma non sappiamo chi sia. E anche del luogo dove avvengono gli incontri tra Fran e Alan non sappiamo nulla. Ma non importa, la storia è talmente verosimile che potrebbe essere ovunque e di chiunque. La storia è quella di un adolescente che cerca in tutti i modi di dare una normalità alla sua vita stra-ordinaria, nel senso di una vita al di là, oltre il comprensibile e il dicibile. Infine, c’è anche l’amore, un amore che si riconosce a fatica:

La prima volta è successo nel sonno. Non c’erano volti, solo i nostri corpi. Io e Stella. Le mani impacciate, sudate, alla ricerca di un brivido nuovo che sfondasse la parete del sogno, sporcando il lenzuolo con la sua vischiosa, sudicia realtà.

Perché la realtà di Titanio è sudicia, piena di “macchie”, e loro, i protagonisti, ne sono pienamente consapevoli, persino Fran che, prima di macchiarsi della colpa, tenta in tutti i modi, grazie anche a un temperamento accomodante, di guardare il mondo attraverso i filtri del cuore. Ma la vita, purtroppo, va dove deve andare, senza sconti per nessuno, soprattutto nel caso del quartiere Ciambella dove sopraffazione e violenza sono le caratteristiche che lo contraddistinguono e che, soprattutto, lo distinguono dal resto del mondo.

Ma il romanzo ha una struttura particolare, è suddiviso in tre parti che si sviluppano a intreccio. La prima parte si presenta al lettore come un sogno, un brutto sogno sfuocato, i cui dettagli si metteranno a fuoco soltanto alla fine, quando ci restituiranno molti come e perché. Continuando sulla struttura, e prima di arrivare alla storia, il lettore viene introdotto a un dialogo tra due persone, Fran e Alan, una sorta di operatore che deve, attraverso una serie di “sedute”, cercare di conoscere meglio la storia del ragazzo. Fran e Alan devono, entrambi, trovare il filo che li metta in contatto e in comunicazione, senza giudizi e ancor più senza pregiudizi. Ma se Alan deve, per quanto arduo, svolgere il suo compito, e cioè raccogliere quante più informazioni sul ragazzo, per Fran, invece, tornare indietro nei dettagli è doloroso oltre che difficile, ed è questo il compito di Alan, trovare dentro Fran la vena da cui far sgorgare fuori le parole e con esse, si spera, anche la verità. Gli incontri si fanno via via sempre più profondi e intensi, Fran acquisisce scioltezza e disinvoltura, a tal punto che, in alcuni paragrafi, i ruoli si invertono ed è lo stesso Alan a sentire il bisogno di aprirsi e confessarsi a sua volta. Questo li porta necessariamente a empatizzare l’un l’altro, e nel lettore tutto ciò si traduce in momenti di vera commozione:

Contai le pagine che avevo riempito mentre rimettevo i fogli nella borsa, Fran seguiva tutti i miei gesti con gli occhi di un felino curioso Scorse il pacchetto di sigarette, provò a lanciarmi un’occhiata d’intesa. Ne presi un paio e gliele allungai in fretta, accertandomi che in corridoio non stesse passando nessuno. Quando le nostre dita s’incrociarono, per un attimo trattenne la mia mano, «grazie», sussurrò. In quell’istante capii che la tensione iniziale si era dissolta e per un attimo mi balenò davanti agli occhi l’immagine di due amici. Un brivido mi attraversò il corpo.

E questo brivido, vi assicuro, l’ho provato anch’io. Un brivido che non può non commuovere. Suona, per me, come un auspicio per tutti quanti, quello di riuscire sempre a trovare il lato buono in ogni cosa, anche la più difficile, la più sgradevole, come quella in cui si trovano Fran e Alan, legati da un rapporto professionale duro ma necessario. Raccontare questo crogiolo del male in cui è cresciuto Fran, prepara il terreno a un finale che altrimenti lo condannerebbe al peggiore dei gironi infernali. Grazie anche a un’empatia nei suoi confronti, a Fran ci si affeziona. Se tutta la storia, quella sua, può configurarsi come una battaglia, è per lui che alla fine facciamo il tifo, sino alla fine, sino a quando la sua personalità ci si presenterà spezzata in due.

É un romanzo di formazione, quello di Bonazzi, per quanto deformato, come ha suggerito qualcuno. C’è, dentro, il male ma anche un’innocenza, seppur apparente, che tenta in tutti i modi di stravolgere questa terribile realtà. Una realtà che non comprende e di fronte alla quale Fran non riesce nemmeno a piangere:

“Perché non hai pianto?”
“Perché uno può può piangere solo per le cose che comprende.”

E allora lui cerca di opporre i libri al male, non l’alcol o la droga che a Ciambella scorre a fiumi. I libri, quelli che lui legge per trovare un motivo per continuare a vivere. Solo quando legge riesce a “volare” via, fuori da Ciambella e riuscire così a dare un senso alla sua esistenza. Sono queste, quelle dedicate ai libri, le pagine in cui ho ritrovato l’autore del libro, e il suo rapporto con la scrittura. Come il suo autore, anche Fran scrive pagine che ad Alan sembrano infinite, ed è attraverso una scrittura minuscola che Fran tenta di combattere l’infinitezza dei suoi pensieri:

Mi ritrovai di fronte a un plico di fogli pieni di citazioni, schemi e frasi che spaziavano da riflessioni filosofiche ad appunti medici. Testi abbozzati, scritti di getto con una grafia minuscola, irregolare, a tratti illeggibile. Mai visto un minorenne scrivere così tanto e in quel modo. Iniziai a pensare che fosse voluto, una specie di stratagemma per criptare e confondere le informazioni a cui teneva davvero diluendole in un mare di inutilità.
«L’universo è un testo. E solo un enorme, gigantesco, complesso libro», mi disse mentre sfogliavo le sue pagine, «un testo infinito in cui ogni cosa è scritta con parole vive. Puoi scrivere di tutto. Scienza, religione, storia. Restano fuori solo i sentimenti».

«I sentimenti?».
«Quelli non puoi metterli su carta. Non c’è modo di descriverli davvero per ciò che sono. Neppure usando tutte le parole del mondo».

Tutto, ad eccezione dei sentimenti, quindi, può essere “ingabbiato” tra le regole della scrittura. Anche i mostri:

«Che una volta messi su carta, i mostri non sono più veri mostri. Diventano parole, inchiostro e grammatica. Per questo esistono i libri. E a quel punto non c’è più nulla di semplice, nulla di banale. Il mostro è stato incatenato alle regole. Quelle che avete scritto voi. Quelle per cui tanto vi battete. E alla fine sarete di nuovo in pace. Perché la grammatica avrà avuto la meglio e voi potrete andarvene a dormire tranquilli nei vostri letti con le altiere imbottite e il materasso riscaldato, con il vostro libro di storie paurose appoggiato sul comodino e la certezza che ogni incendio possa essere domato. E si possa ricostruire. E trovare una spiegazione».

Bonazzi ha una lingua cruda che lascia intendere un’urgenza a esprimersi e di esprimersi senza filtri. Ed è, questo, lo stesso bisogno di chi è riuscito a uscire dal tunnel della sofferenza, il bisogno di abbattere i muri e di riappropriarsi della realtà, quella che fino a un momento prima gli si presentava edulcorata dalle convenzioni, le stesse di cui più o meno tutti siamo vittime.

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