Chi siamo? Tra sfide, conquiste e diritti negati. Intervista a Teresa Rossano

Chi siamo? Tra sfide, conquiste e diritti negati. Intervista a Teresa Rossano

Articolo di Rosanna Pontoriero. Foto fornita dall’autrice dell’articolo. Una chiacchierata con Teresa Rossano: insegnante, attivista, femminista, con lei abbiamo parlato di donne, società, diritti, cultura e fronti caldi

Il mondo è un posto complicato, spesso ci si affeziona anche alle sue infinite crepe e fragilità. Una bufera di contraddizioni e conflitti, ferite e conquiste, grandi metamorfosi e millenari pantani. Quando ho conosciuto Teresa Rossano, una fredda sera di fine dicembre, ho pensato a questo. Si parlava di donne iraniane e giocavo a sceneggiare i miei pensieri: immaginavo voci, volti, vite, piazze.

Teresa adoperava la parola con fare dolce e compiuto. Si percepiva l’energia di una attivista, che di storie e vicende scottanti, di quelle che dimorano sulla soglia, tra le crepe, ne aveva vissute e sentite parecchie. Non sapevo niente della sua vita, della militanza. Ciò nonostante, ascoltarla era per me una sorta di climax ascendente: nutrivo un sempre maggiore interesse. La protagonista di questa intervista, Teresa Rossano, ha iniziato a militare negli anni ’70: nel 1976 ha contribuito a fondare il collettivo femminista a Catanzaro. È insegnante di Lettere a Bologna, di cui fa parte attivamente, quantunque sia stata anche insegnante all’estero. Nel 2019 ha realizzato, in qualità di regista, il documentario “Io sono femminista!”.

Partiamo dal 1976: come ti sei avvicinata al mondo del femminismo? C’è stato un episodio specifico o anche una lettura?

Io mi sono avvicinata al mondo degli studenti e delle organizzazioni extraparlamentari negli anni ’70. Ho iniziato appena arrivata al Liceo e poi, come molte compagne in quel periodo, abbiamo deciso di riunirci separatamente dai maschi: di trovare uno spazio nostro come femministe, fondando il Collettivo. Non mi ricordo di essere diventata femminista, lo sono sempre stata.

E che città era Catanzaro all’epoca dal punto di vista culturale?

Una città provinciale. La vita delle ragazza e delle donne era una vita dagli orizzonti stretti: ci dovevamo guadagnare ogni centimetro di libertà con lotte e liti continue. Anche il darsi la mano tra ragazze per strada era una cosa che scatenava commenti. Io sentivo il desiderio di essere libera e autodeterminarmi come i maschi.

Tu ti sei ritrovata ad insegnare anche all’estero, ricordi una situazione particolarmente complicata che hai dovuto gestire? Che ti ha fatto riflettere?

Quando insegnavo a Bucarest, in un liceo rumeno, in Italia si scatenò una campagna sui giornali in seguito allo stupro e all’omicidio di Giovanna Reggiani. Il caso è stato trattato dalla maggior parte della stampa italiana in maniera razzista, mettendo in evidenza il fatto che l’omicida fosse rumeno. Una mattina entrando nella sala docenti ho trovato molti colleghi ostili nei miei confronti. Ricordo di essere andata nelle classi e di aver parlato del caso con i miei alunni, letteralmente con il cuore in mano. Da lì è iniziata, invece, una discussione molto bella con le ragazze e i ragazzi, che è andata avanti per giorni.

Dove hai trovato il fronte più caldo nel mondo per quanto riguarda i diritti delle donne?

Ovunque. In Argentina ho soggiornato a Buenos Aires e a La Plata: camminando per le strade trovavo foto delle donne uccise e moltissime scritte femministe. Mi sono sentita confortata dalla presenza di queste compagne, che poi sono andata a cercare. Per le donne è fondamentale avere spazi condivisi di sorellanza.

Proviamo a definire le ragazze del 1976 e quelle di oggi…

Noi avevamo il desiderio di liberazione, eravamo ribelli, animate da gioia e rabbia, sentimenti forti, ma non contrastanti. Oggi vedo comunque molte ragazze che continuano a lottare per la loro autodeterminazione, nonostante il diffuso clima di ansia e impotenza generalizzata.

Come li commenti i fatti di Pisa?

Uno scandalo, un fatto di una gravità inaudita. Un modo per intimidire le persone, frutto di una volontà precisa: si vuole inibire l’espressione libera di ragazze e ragazzi. Questi sono segnali inequivocabili di una strada che potrebbe portare all’autoritarismo. Io ho vissuto scontri duri in passato, ma il contesto era molto diverso rispetto a oggi.

Perché oggi si ammazza una donna?

Perché gli uomini non accettano l’autodeterminazione delle donne. Il patriarcato sta vacillando, senza alcun dubbio, e questi sono pesanti colpi di coda. Tutte le soggettività che mettono in discussione l’ordine patriarcale vengono pesantemente colpite.

Qual è oggi, secondo te, la sfida principale per le donne?

Non darci mai per vinte. La grande sfida è lottare per l’autodeterminazione: io sono una persona e ho il diritto autodeterminarmi.

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