Teoria del labirinto
Articolo di Achille Benvenuto. Nella foto di copertina un quadro di Achille Benvenuto
Un uomo con almeno quaranta primavere sulle spalle ha, con ogni probabilità, passato in rassegna buona parte dell’intera gamma di emozioni e sentimenti esperibili, alcuni dei quali anche una sola volta. Non essendoci pertanto nulla di assolutamente nuovo, per che cosa dovrebbe provare meraviglia?
Tuttavia è proprio ora che ha la possibilità e, se è nella sua inclinazione, il potere di dominare dall’alto il manifestarsi di un sentimento o di un’emozione. Tale dominio è ciò che comunemente chiamiamo saggezza. E la saggezza è direttamente proporzionale alla stanchezza: quanto più è stanca, l’anima del saggio, tanto più è incapace di rincorrere la mutevolezza dei sentimenti e degli umori delle anime dei suoi simili, di lanciarsi in sfide, di lottare in un mondo così sfuggente. Quanto più è stanca, tanto più comprende l’inutilità di inoltrarsi nei labirinti dei pensieri dell’altro perché, a dispetto del dispiego di energie e di ogni altro mezzo, il percorso che conduce all’uscita di tali labirinti viene, a intervalli temporali non omogenei, ridisegnato e quindi cambiato.
Ogni uomo decide di modificare la struttura del proprio labirinto quando comincia ad avvertire che qualcuno, trovata la soluzione all’enigma, si stia avvicinando alla porta d’uscita, porta che conduce al nucleo fondante di ogni essere umano, sostanza incorporea semplice e unitaria, l’anima appunto. Allora ci si chiede perché l’accesso all’anima viene considerato dai più come un pericolo, una minaccia. Una minaccia a che cosa? L’uomo cerca falsamente l’autoaffermazione stabilendo relazioni di potere nei confronti sia delle cose che delle persone, è dominato da un bisogno di conquista soddisfatto il quale si sentirebbe libero, libero perché potente.
Ma per restare tale deve, a sua volta, evitare di cadere sotto il potere di un’altra persona. È per questo che ognuno inizia a costruire un labirinto intorno alla propria anima. Lo stesso ragionamento può essere fatto considerando come soggetto lo Stato o un altro ente pubblico e il suo comportamento nei confronti di altri Stati o enti pubblici. In più, un qualsivoglia Stato, attraverso la creazione di regole e la conseguente imposizione delle stesse, può accentuare o meno, incentivare o disincentivare la costruzione di labirinti da parte dei consociati. Il labirinto occupa il luogo del fossato che circondava gli antichi castelli. Ma le insidie che può celare un fossato sono niente rispetto a quelle di un labirinto.
In caso di minaccia, il primo passo che il soggetto compie è quello di murare immediatamente la porta unica via d’uscita; quindi procede nella costruzione di un nuovo dedalo di corridoi e stanze; infine individua un nuovo punto in cui posizionare l’uscita. Il tempo impiegato in siffatte operazioni, in genere determina la morte della persona intrappolata che, esausta, si lascia sopraffare dallo scoramento (d’altronde non potrebbe essere altrimenti). Con il passare degli anni e la reiterazione di questo gioco al massacro, il labirinto apparirà disseminato dei resti di quanti vi hanno perso la vita, resti che, suo malgrado, l’abile progettista non può però eliminare.
Ogni tanto vi sofferma lo sguardo e riconosce dal teschio X, dalla lunghezza delle ossa degli arti Y, dai capelli Z. Ma ora X, Y e Z non suscitano in lui altro se non scolorite e scialbe impressioni, per il semplice fatto che non sono più vita; sono come scorie che hanno perso la loro radioattività. Intanto la vita è nel nuovo malcapitato soggetto che con trasporto si destreggia per il labirinto cercando di memorizzare pazientemente i vari percorsi, cercando di non commettere errori nel riconoscere i numerosi antri, sicuro di trovare prima o poi il varco che gli consentirà di raggiungere e vedere l’anima dell’altro. I tentativi nel frattempo solleticano, infiammano, e inorgogliscono il proprietario del labirinto che si sente come ripercorso da un fluido vitale e rigenerato. Da ora in avanti non dovrà fare altro che controllare i movimenti di chi ha dentro; da ora in avanti sarà lui a dirigere il gioco, a fissare le sue regole.
A questo modo di andare delle cose ci sono, tuttavia, delle eccezioni:
1) ci sono persone che possiamo tenere vive nel nostro labirinto anche per tutta la vita;
2) ci sono persone (generalmente consanguinee) alle quali permettiamo di trovare la porta di uscita del labirinto.
Nel primo caso, per ottenere quel risultato, facciamo ricorso alla razionalità che ci fornisce gli appigli per non modificare la struttura del labirinto; nel secondo caso, invece, ci abbandoniamo con totale fiducia e senza riserve all’altro. Siamo certi che trattasi di persona che sarebbe disposta a sacrificare la sua vita per noi.
Concludendo, il labirinto è una sovrastruttura dell’anima, una molteplicità di manifestazioni esteriori dietro le quali si cela la verità che il soggetto pretende di difendere e, nello stesso tempo, di cui si serve, nell’attuazione del principio secondo cui homo homini lupus.