Temevo dicessi l’amore. Mattia Grigolo e l’essenzialità del divenire
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Temevo dicessi l’amore” di Mattia Grigolo, TerraRossa edizioni, 2023
Ofelia è una memoria collettiva che si materializza in capitoli che assomigliano a stadi della vita. L’infanzia e la vecchiaia dell’umanità sono qui raccontate nel loro inspiegabile concepimento.
Quando avviene quel passaggio di stato che ci fa diversi di volta in volta, che rende pronti per un nuovo slancio verso un’altra età della vita? Tramite immagini e dialoghi essenziali cogliamo questo attraversamento, assaggiando di volta in volta il gusto malinconico del divenire che mai si arresta.
Ofelia è anche l’Uno e la sua molteplicità, perché tante sono le forme dell’Io quante sono le tappe della vita. Ci imbattiamo in prove quotidiane, mutiamo giorno dopo giorno. Tutto si ferma lì però, nella memoria, luogo in cui si fanno i conti con il dolore e la felicità, l’amore e l’odio, la passione e la ragione.
È una scrittura lineare e di pochi aggettivi quella di Mattia Grigolo. È la parola nuda e l’espressione minimale, la frase solida che incide sul foglio una situazione chiara, senza se e senza ma.
Cosa c’entra l’amore con tutto questo? È la causa efficiente che smuove l’intero romanzo, senza mai giungere però alla conclusione, perché sono mille le cose per cui ci si può innamorare, ma poche quelle che si vorrebbero amare come la prima volta. Forse per questo motivo Ofelia fugge da ogni rapporto stabile, perché tutto rimanga immutato nel suo cuore.
Grigolo porta con sé la lezione di Carver: la quotidianità come evento, il gesto come linguaggio, la parola come essenzialità ed eccezionalità descrittiva, affinché sia sempre il lettore a completare.
Ma c’è anche un aspetto poetico in Ofelia, in quanto espressione immediata di un cammino comune, ossia la vita, che solo alla fine lascia spazio all’interpretazione. Così è questo libro: si lascerà interrogare solo dopo averlo concluso.