Compito in classe. Il tema di “M”

Compito in classe. Il tema di “M”

Articolo ed elaborazione grafica della foto di Daniela Grandinetti

Ricomincia a piovigginare. Oggi è una giornata malinconica. Guardo il plico dei compiti da correggere, non avrei voglia ma devo. Ne sfilo uno, lo leggo, lo correggo e mentre scorro le righe mi rendo conto che a volte i temi dei ragazzi sono incredibili atti di fiducia.

Si parla di abolire il tema, di adottare i riassunti, di incentrare l’attenzione sulla comprensione del testo. Tecnicamente è giusto e sacrosanto. Però c’è un aspetto: come farei a scovare gli animi inquieti, quelli che hanno bisogno di un’attenzione diversa, senza conoscerli? Perché è anche questo che noi insegnanti di Lettere facciamo, a volte; è attraverso di noi che passano le menti e quello che c’è dentro, nel profondo, non perché siamo diversi, semplicemente perché a noi talvolta scelgono di rivelarsi: hanno davanti un foglio bianco e l’occasione di raccontarsi, spesso di raccontare quella parte di sé difficile da svelare perfino ai compagni.

Per questo ho deciso di condividere degli stralci di questo tema in una pagina del diario, perché se da un lato il testo di questo ragazzo mi ha intristito, e molto, dall’altro non sapevo dove stesse con la testa, e ora lo so.

So per esperienza che se un ragazzo scrive un tema così, qualcosa ti sta dicendo, di sé, del suo mondo, della sua solitudine. E tu che fai? Gli dai un voto e ti volti dall’altra parte? Non io.

Forse sbaglio, ad ogni modo questi sono stralci del tema. Voglio precisare che sono come M. li ha scritti. Finora per me lui (sono la sua insegnante da settembre) era soltanto uno che scriveva maluccio, con molte carenze, come si sottolinea nei temi.

A voi adulti chiedo: quale la responsabilità? Dove si ferma quella di un’insegnante?

“Oggi tutti siamo tecnologici, ma la mia generazione – quella del 2000 – è stata rovinata dai social network, e ne parlo da testimone. Si va dal lecchinaggio all’umiliazione della persona. Hanno attaccato le nostre menti, perché in un’età in cui ancora non si pensa con la propria testa, quando si può essere plagiati facilmente.

In poche parole hanno creato un gregge di pecore in cui la società ha il ruolo del pastore, hanno creato uno spettacolo di marionette in cui il burattinaio muove i fili e dice cosa indossare, cosa mangiare, come comportarsi, come parlare. Così con una mano ti danno i soldi che dovrebbero servire per vivere e poi infilano le altre cinque dita nel nostro portafogli imponendoci cosa comprare per essere all’altezza, siamo tutti omologati.

Fin da piccolo mi sono dovuto abituare a rinunciare a tutto perché a casa arrivavano sempre pochi soldi. Quando sei un bambino queste cose ti pesano, arrivi a invidiare gli altri. Crescendo queste cose pesano ancora, capisci di essere impotente. Ma quello che ti fa soffrire non è più la mancanza di beni materiali, ma il fatto di non poter coltivare i propri sogni. La cosa che più mi fa incavolare è quando vedi persone che hanno tutte le possibilità di questo mondo e non combinano niente, mentre io che ho intenzione di realizzare un piccolo sogno devo fare sacrifici su sacrifici per avere una piccola possibilità di riuscita.

Un’altra cosa che mi fa incavolare sono le persone che ti allontanano perché non vesti firmato o solo perché pensi con la tua testa. Non è bello quando degli stupidi pregiudizi ti allontanano e magari più cerchi di avvicinarti a loro più vieni respinto. Ci resti male, ti chiedi se la colpa è tua.

E così ho preso la decisione di isolarmi, forse è una cosa negativa, anzi spesso lo è, perché ho pensieri che mi fanno odiare il mondo intero. Questo avviene di notte, quando inizi a pensare come sarebbe bello se; come sarei felice se; finché non torni nel mondo reale e capisci che è tutta un’illusione.

A volte apprezzi la solitudine, è come guardare le cose da un altro punto di vista, da un’altra prospettiva. Allora inizi a notare persone, particolari di ogni singola cosa, e ne sei felice.

Mi rendo conto d’essere andato fuori tema, d’altronde non mi importa più del voto, non è un voto che stabilisce la propria intelligenza.

Concluderò dicendo a chi dice che i soldi non fanno la felicità che sbaglia di grosso: è semplicemente una persona che non ha provato la povertà, perché senza soldi si litiga e si vive male, ne sono testimone tutti i giorni, nella mia famiglia.

In questo mondo tecnologico nel quale abbiamo tutte le comodità e vogliamo essere uguali agli altri non possono mancare i soldi, perché fanno la differenza, fanno la felicità, la fanno eccome.”

Ho trovato questo testo di una dignità e di una verità disarmante. Non credo che da domani guarderò M. come ho fatto fino a oggi. E non si possono ringraziare i ragazzi per la fiducia che ti concedono, bisogna comunque tenere la barra dritta.

Ma la barra ha battuto contro la realtà personale, e lo sguardo non può rimanere indifferente.

Questione di complicità. E rispetto.

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