Tarassaco. Storia del disincanto generazionale

Tarassaco. Storia del disincanto generazionale

Recensione di Elisa Chiriano. In copertina: Angelo Argondizzo, “Tarassaco”, Scatole parlanti 2023

Nessuna vita è così insignificante da non dover essere narrata, scriveva Hannah Arendt. Raccontare dà senso (significato e direzione) all’esistenza e forse è vero che tutti i dolori possono essere sopportati se diventano parola. Poco importa quindi se Chiara, Lorenzo e Silvana siano personaggi o persone. Essi esistono nel momento stesso in cui vengono narrati e la loro storia diventa autentica nell’istante in cui il loro tempo diventa quello del racconto.

Tarassaco, edito da Scatole parlanti (gruppo Utterson), è un libro intenso e coraggioso, capace di fare i conti con il disincanto generazionale, tra piccole e grandi meschinità. Le pagine si aprono come un cassetto delle cose, prime e ultime, che diventano luoghi unici e immateriali per descrivere l’amore e il suo opposto. La trama mozza il fiato e guida il lettore tra riflessioni e riflessi nel tentativo, ben riuscito, di dare forma alla sofferenza rendendola comunicabile. È un mondo pieno di labirinti da cui è difficile uscire indenni. È una peregrinazione dentro e fuori di sé, un posto che esiste appena poco più in là, con tutta la sua urgenza e il suo fascino.

Chiara e Lorenzo Romano hanno rispettivamente ventidue e diciassette anni. Subiscono l’abbandono del padre Claudio e le conseguenze della malattia mentale della madre Silvana. Agiscono lungo un limes/limen, limite e soglia, in bilico tra la vita e la morte, la speranza e il desiderio di altro nell’altrove dell’esistenza. Lorenzo vive l’intensità di un amore in cui crede con tutto se stesso; Chiara orienta la sua giovane età con la maturità di una donna e la fragilità del suo divenire; Sandro dispensa anestetici liquidi alla comunità di vecchi ubriaconi della zona.

Angelo Argondizzo ci regala un’opera prima, che sembra frutto di una grande maturità artistica, caratterizzata da un ottimo labor limae e da un’interessante ricerca lessicale. Si muove con perizia tra rovine di luoghi e frammenti di cuori. Scandaglia esistenze con perizia descrittiva e narrativa. Le pagine diventano paladine dell’urgenza del narrare, del bisogno di scegliere con cura le parole, per metterle insieme e farle coesistere nella relazione stringente tra lessico e sintassi, forma e significato, in un rapporto sorgivo e misterioso. Scrivere rende possibile e autentico l’incontro con l’altro; permette di dar forma al dolore, per restare in piedi nonostante tutto e tutti. Scrivere è una dichiarazione d’amore al potere della letteratura, alla sua capacità di avvicinare verità altrimenti inaccessibili, ricostruendo, con la forza immaginifica della narrazione, l’incognita dell’esistenza. L’autore ha uno sguardo acuto, che gratta la superficie delle cose e dei volti, disvelando gli aspetti più reconditi degli erranti-errati del mondo. È difficile trovare spiragli di bellezza tra macerie polverose di cose e case, tra ripidi viottoli che hanno ospitato miserevoli esistenze. È impossibile fornire risposte esaustive allo sfacelo di un destino senza salvezza, fatto di violenza agìta o subita. È un constante conflitto tra forze non arginabili, perché l’amore può essere vita, maledizione, nostalgia e di certo non ammette pentimenti.

Di chi abbiamo paura, noi umani ancora viventi, se non del nostro passato?

L’inchiostro si mescola al sangue, ai graffi, alle ossessioni, ai ricordi, ai tradimenti e alle umiliazioni, mentre il tarassaco cresce su tetti di edifici abbandonati e il cuore abita la nostalgia di ciò che non è mai stato. Un piccolo fiore giallo diventa emblema della tenacia contro le avversità della vita. Sinonimo di speranza e fede nel futuro, i suoi semi, raccolti in una eterea sfera piumosa, volano via e si disperdono al primo soffio di vento, rivestendosi di sogni e desideri. Va in scena il dramma della vita, tra calcinacci e polvere, spregiudicatezza e tanto dolore. Il tarassaco, capace di resistere alla violenza della natura, offre umile omaggio solare a quella fine, che impietosa sopraggiunge.

Amore, dolore e morte sono le tre sezioni dell’opera: come un trittico, come una pala d’altare, come le cantiche di un poema mai compiuto, che la vita ha deciso di comporre in ordine inverso. C’è stato un tempo in cui per le strade della vecchia città si sentiva il profumo del pane appena sfornato; un tempo il cui il giubilo urlante dei bambini cancellava il ricordo del rientro a casa dei loro padri ubriachi; un tempo in cui porte e finestre non erano color ruggine; un tempo in cui le stagioni non erano scolorite o sbiadite. C’è stato un tempo, forse, ma… se il dolore fosse per sempre?

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