Sul viaggiare. Hesse il gusto della scoperta senza itinerario

Sul viaggiare. Hesse il gusto della scoperta senza itinerario

Articolo di Silvia Palombi

“In un primo momento, quando mi fu suggerito di scrivere qualcosa sulla poesia del viaggiare, mi parve un’allettante opportunità per poter inveire di tutto cuore contro gli orrori del turismo moderno, contro l’insensata smania del viaggio; contro gli squallidi hotel di oggi, contro località turistiche come Interlaken, contro inglesi e berlinesi, contro la Foresta Nera del Baden deturpata e dal costo esorbitante, contro la gentaglia di città che vuol vivere in mezzo alle Alpi come a casa propria, stili di vita e prezzi degli hotel, vini locali e costumi regionali contraffatti. Ma quando una volta, in treno fra Verona e Padova, confessai a una famiglia tedesca le mie idee in merito, fui pregato con fredda cortesia di tacere; e quando un’altra volta a Lucerna, presi a schiaffi un cameriere incapace, non fui più pregato, ma costretto con la forza e di corsa a lasciare l’albergo. Da allora ho imparato a controllarmi”.

Così scrive Hermann Hesse in Über das Reisen (Sul viaggiare) pubblicato per la prima volta in Die Zeit il 30 aprile 1904.

Gli scritti dopo prendono un andazzo decisamente più pacato, l’autore è assai più ben disposto e tollerante e io, leggendo, mi sono riappacificata col mio modo di viaggiare che in una parte considerevole è consistito nel bighellonaggio senza una meta precisa, nel girare a capocchia cambiando direzione a seconda dell’attrazione che esercitava su di me una strada piuttosto che un’altra.

Soprattutto questo scritto mi ha fatto riconciliare, solo in parte ma è già qualcosa, coi tanti viaggi che mio padre ha fatto in giro per il mondo per lavoro, perdendosi spesso quel che unanimemente è considerato imperdibile. Papà, responsabile di alcuni mercati esteri per la Carlo Erba, tornava ripetutamente nei posti, allacciava rapporti, amicizie che in alcuni casi hanno sconfinato nella vita non lavorativa, viveva pensando che quel museo e quel palazzo irrinunciabili li avrebbe visti la prossima volta, sempre la prossima volta. E invece a un certo punto di prossime volte non ce n’erano più perché le destinazioni delle missioni cambiavano e lui rimaneva a rammaricarsi con sé stesso con un senso di malinconia leggera.

Papà però tornava a casa con sacchi pieni di cose preziose, raccontava com’era la gente, come erano accoglienti nelle bettole dove chiacchierava beatamente con la gente del posto, raccontava della paura provata in macchina con l’autista assegnatogli che correva come un matto nel deserto libico. Insomma riportava a casa la vita vera dei posti e pazienza se ha perso il museo del merletto di Bruges, noi abbiamo avuto i racconti delle donne anziane che quei merletti li facevano per la strada, e delle birre trappiste che ha bevuto nei bar e la sorpresa dei campesinos in un’osteria in Honduras al suo chiedere se poteva tenere la ciotola di terracotta dove aveva mangiato i fagioli. Ce l’ho ancora quella ciotola e quando la guardo mi piace pensare a quel momento.

Poi Hesse, sempre nel 1904, tocca un tasto a me molto caro: “E non vorrà bere birra bavarese a Siracusa – e se mai la riuscirà a trovare, la giudicherà stantia e costosa…” certo la birra bavarese coi mezzi di trasporto odierni arriva fresca ovunque nel mondo ma pretendere di mangiare würstel a Tunisi è per me atteggiamento incomprensibile, uno zio ovunque nel mondo, scollegato dalla realtà che lo circondava, ordinava i cannelloni alla bolognese e io mi chiedevo, fin da ragazza, che se la nostalgia dei sapori di casa è così impellente perché te ne allontani? E la curiosità dove la mettiamo? Va bene andare al Louvre ma se vuoi sentire Parigi devi andare a mangiare al vecchio mercato e cercare i libri alle bancarelle lungo la Senna, come per Roma, certo il Colosseo, i Fori Imperiali e la Galleria Borghese ma se non vai a Largo dei librari a mangiare i filetti di baccalà o a guardare in faccia la statua di Pasquino un po’ l’anima di Roma la perdi.

Lungo il suo viaggiare Hermann Hesse si definisce viandante che è parola particolare, viandante è definito dalla Treccani chi percorre a piedi le vie fuori dalle città per raggiungere luoghi anche lontani che mi spinge a parlare di me stessa: ho sempre camminato tanto, macinare chilometri mi piace ovunque, città, mare, campagna, boschi non fitti. Soprattutto in montagna mi piace, quando lentamente sali e sotto di te la vista si allarga fino alle parti che dal basso non vedi. Il segreto è cominciare salendo piano e cercare di mantenere lo stesso passo fino alla fine. E fa niente se la fine non è la cima, certo è importante arrivarci ma se si prova stanchezza bisogna avere il coraggio di fermarsi e riposare guardandosi intorno, annusare come cani distinguendo tutti gli odori che ci sono

(anche la neve ha un suo odore), così la sosta diventa una meditazione, una preghiera che ci riconnette con l’universo che respira con noi.

A questo proposito, della sua visita a Firenze Hesse racconta gli sforzi che ha fatto per gustarsi il più possibile le bellezze della città ma che, nonostante ciò, non rimpiange affatto il pomeriggio -non domenicale- ai giardini di Boboli in un pomeriggio assolato libero da mamme e bimbi, semplicemente bighellonando e lasciando sbrigliata la fantasia: “spesso, disteso su una panchina o sul prato, tra anemoni e narcisi dalle grandi colonne variopinte, ho inseguito con lo sguardo assente le candide nuvole che vagavano alte nel cielo limpido, sopra le nere chiome dei cipressi. Vedevo passeggiare per il parco il duca Colosimo I, che fu il primo proprietario, o gli artisti che ne curarono la sistemazione, il Tribolo e il celebre, adorabile, Giovanni da Bologna; e per quanto potessi sembrare ridicolo, non avevo vergogna di abbandonarmi all’estasi di uno splendore passato e ancora capace di comunicarmi uno strano senso di felicità”.

Prima ho menzionato mio padre, se mi fermo a ogni bancarella di libri lo devo a lui, alle sue tappe, immancabili durante le passeggiate a Roma, che a me bambina piccola annoiavano mortalmente. Oggi, ‘vittima’ di un incantesimo, faccio esattamente come lui, così posso scovare pietre preziose come questo librino che mi ha chiamato con una carta geografica in copertina.

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