Le quattro stagioni della metamorfosi di un uomo precario

Le quattro stagioni della metamorfosi di un uomo precario

Articolo di Lucia Bonacci. Foto di Martino Ciano

Ognuno di noi, nel corso della propria esistenza, vive profonde fasi di trasformazione. I processi di mutamento possono essere graduali o repentini, magari a causa di una brusca delusione o perché necessari. Ad ogni modo, i cambiamenti possono investire la nostra personalità o il nostro rapporto con gli altri.

Senza voler veicolare messaggi nostalgici o “tristoni” – nonostante mi caratterizzino – proverò a concentrare, in chiave pseudo-ironica, le fasi che, a mio avviso ovviamente, ciascuno d noi prima o poi attraversa, quelle fasi che mi piace definire le “quattro stagioni della metamorfosi di un uomo precario”.

La prima fase è quella che appellerei “del cazziatone”. Siamo insoddisfatti, la strada non procede propriamente secondo i nostri piani ed entriamo spesso in conflitto con gli altri, senza provare ad ascoltare le ragioni altrui. Allora ci stanchiamo, prendiamo il pallone e andiamo via. Non sappiamo perdere e mettiamo il broncio.

Poi, quando smettiamo di essere infantili e decidiamo di condividere quel pallone e metterci nuovamente in gioco, ecco che arriva però la fase “psicologo”, ovviamente poco bravo e poco clemente, durante cui subentra la paura del confronto, del giudizio, del fallimento, quasi fossero gli occhi degli altri a determinare chi siamo.

In questa fase, si può soffrire moltissimo. Toccando baratri di insicurezza, insofferenza, si consumano fazzolettini e i cuscini sono stropicciati per le notti trascorse insonni, a rigirarsi senza senso alcuno e con le pecorelle che continuano a zompettare per essere contate.

Nel momento in cui iniziamo ad aprire gli occhi, ma siamo comunque ancora angosciati, ecco che ci spostiamo, ancora timidamente, ancora non totalmente convinti di noi, verso la fase del “letterato”: sopravvalutiamo i talenti degli altri, deprezzando i propri. Poi, e finalmente forse, arriva il disincanto, la caduta degli eroi e la giusta ricollocazione, prima di noi stessi e poi l’attribuzione del giusto peso a chi ci circonda.

Ed ecco ergersi la stagione “Dunning-Kruger”; ossia quando ci rendiamo conto, in maniera quasi liberatoria e senza pudore alcuno, di quanto molti si sentano migliori o più sapienti di ciò che realmente sono, deformando la realtà. La loro incompetenza si trasforma in stucchevole presunzione che suscita risa beffarde.

In fondo non esiste una formula. La consapevolezza e l’umiltà di ciò che siamo è una tra le forme più elevate per provare a raggiungere la felicità.

“Io sottoscritto Edmond Dantès” (cit. “V per Vendetta”).

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