Spazi poetici. I versi di Alessandro Barbato
Poesie di Alessandro Barbato
Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’Ehess di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini. Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia ed è collaboratore del blog dedicato al Poeta friulano «Le pagine corsare». Nello stesso periodo è stato membro del comitato di redazione della rivista di settore «Civiltà e religioni», oltre che di diversi gruppi di ricerca legati alle cattedre di Storia delle Religioni e di Antropologia delle religioni della Facoltà di Lettere dell’Università UniRoma 2, collaborando attivamente anche alle attività didattiche dei rispettivi insegnamenti, tenendo corsi di approfondimento e seminari. Appassionato di poesia, ha pubblicato alcune sue liriche su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge “Il fiore dell’attesa”, confluita nel 2020 nella raccolta “Solamente quando è inverno”. Ad aprile 2022 ha visto, infine, la luce la sua nuova raccolta di versi, “La mimica dei mondi (qualche poesia fuori tempo)”, edita da Controluna – Edizioni di poesia. Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma
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Basta pure rado un vento se frastorna d’ocra il giorno, poche gocce d’acqua e sabbia per disorientare i sogni sulla soglia dei solstizi che dobbiamo oltrepassare. E sarà lo stesso inverno poi, sui semi di domani, con il buio delle cinque, ghiaccio attorno a ogni pensiero. Con sapori in più di luce, di assetati desideri che ci peseranno a fianco, quando il tempo eterno è un lampo e gli altri anime lontane.Basta pure
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Chiamami lontano da tutte le parole che ho suonato per esistere al contrario, dall’oro dei tuoi passi che promettono l’estate, dal chiacchierare esausto delle vecchie sui balconi. Dammi l’altra mano: conduci i miei pensieri fino al bordo dei piaceri che hai scartato, convincimi a resistere ai richiami di altri giorni e ad ogni polline nutrito dagli scoli di grondaia. Chiamami, ma piano, e portami lontano nei deserti che il mio tempo ha costruito e con pazienza maniacale, guarda solo alle mie mani mentre tremano (se ti cercano nell’aria).Al contrario (chiamami lontano)
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Non ha mano, né gli occhi questo tuo esistere accanto a ogni cosa, lo stare di fianco alle orme dei lampi felici, ai crampi di noia, al denso vapore di quiete e tepore del primo meriggio stornato di voci lontane e leggere, vibrate nell’aria in arcate di luce. E mi cerco con te tra gli eterni pulviscoli di inutili incanti di storie che stendono i tempi come un elastico, andata e ritorni d’un viaggio tentato, quando dimentica il mondo di averci trovato.
A margine
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Rimane, sai, più vivo nel silenzio delle ore dilatate dall’estate che ci balla nella mente, il madido annaspare, tra il vapore e tra i pensieri, delle braccia che domandano il segreto che conosci tu soltanto, per riprendere il sentiero che conduca finalmente le mie carni nel rifugio che hai lasciato quando avevi ancora fiato a sufficienza per urlare. È il fumo di esistenze consumate dalla sorte e dalle smanie per stagioni mai venute: fantasma di discorsi impronunciabili o affrettate conclusioni, forse il segno che aspettavi per decidere di togliere le tende e cominciare, come un santo, a non rispondere a nessuno che non sappia anche volare.Le mie ore (Rimane, sai, più vivo)
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Tu sai della mia mente quando appicca i bianchi incendi tra le nuvole che paiono i respiri dei miei poveri falò di desideri e di paure inattuali. Conosci del silenzio il timbro e il tono della luce che ci lacrima negli occhi, se guardiamo al nostro cielo ignari e liberi dai suoni del futuro e del passato. È niente, eppure è tutto il poco azzurro che rimane tra lo spazio e le cimase dei palazzi che abitiamo. È tutto, eppure è niente se non posso confidarlo più a nessuno che c’è stato un tempo vergine di angosce che danzavano nel vento.Tu sai della mia mente
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