Silenzio belligerante. Ciò che vediamo, ciò che non conosciamo
Articolo di Martino Ciano
Noi parliamo di questa guerra solo perché qualcuno ce la fa vedere. Noi disquisiamo solo in base a ciò che riusciamo a percepire. Laddove l’occhio della telecamera resta chiuso non esiste che l’ignoranza, l’inconoscibile e l’indifferenza. Così delle altre guerre nel Mondo non continuiamo a sapere nulla.
Ma perché questa guerra ci interessa tanto? Perché è vicino casa nostra? Perché mette a repentaglio la nostra sicurezza? Perché su di noi avvertiamo l’effetto del fallimento della diplomazia? Perché in essa vediamo la debolezza dell’Europa?
Più che interessarci, questa guerra ci coinvolge emotivamente perché qualcuno ce la sta raccontando e ce la sta facendo vedere. Una voce ci ripete: è lì, abbiatene paura. Ma questo non vuol dire essere informati, semplicemente siamo entusiasmati dalla notizia del momento. Quando il fragore delle bombe terminerà, quando il sangue non scorrerà più a fiumi, quando i bambini cesseranno di morire, quando non ci saranno più né buoni né cattivi, quando potremo ricominciare a consumare allegramente pane e benzina, allora ce ne fregheremo del destino del popolo ucraino e di quello russo.
L’italiano calciofilo e fino a ieri sfruttatore della manodopera slava, si riscopre esperto di geopolitica e ammaliato da un senso di fratellanza. I complottisti nostrani avanzano le loro tesi sulla disinformazione, ma anche loro cavalcano la notizia del momento per trovare un po’ di spazio nella Babele degli errori storico-filosofici. A goderne sono i soliti noti. La guerra è un affare che costruisce le basi del nuovo capitalismo. La Russia e la Cina sono capitalismi di Stato affamati, pronti a rigenerarsi e a espandersi. Una cosa è certa, questa è la fine di un’epoca.
Nonostante tutto ci sentiamo ben informati dei fatti. Pensiamo di poter accedere a qualsiasi archivio di Stato, siamo convinti di aver compreso tutto. Invece, la sovrapproduzione di notizie ha come effetto l’ignoranza, perché noi possiamo vedere e rapportarci solo con una cosa alla volta. La sintesi televisiva, l’uso di un linguaggio banale, marginale, mette in mostra che questa guerra è solo quella che più deve interessarci in questo momento. Essa è cronaca, anzi è una telecronaca. La stessa situazione l’abbiamo vissuta con il Covid19. Per due anni è stato l’unico virus esistente, l’unico in grado di minacciare la tranquillità. Esso è stato la novità.
La novità e l’evento sono le basi della società dello spettacolo. La novità e l’evento sono tali in quanto hanno un carattere di brevità, ossia durano poco e lasciano il segno. Ma non tutti riescono a leggere i segni. L’evento è qualcosa che per sua natura irrompe come eccezionalità, ma oggi tutto è evento. La stampa crea eventi fin dai titoli che propina. Una sola cosa resta immutata, l’angoscia. L’angoscia è la sensazione dominante della modernità.
Ma stiano a cuccia anche i complottisti convinti di avere la verità in tasca. Nessuno ha messo in atto un ennesimo lavaggio del cervello. No, la società dello spettacolo ha bisogno anche di voi. Ha bisogno di guru, di sette e di spiriti drogati dal sospetto. La società dello spettacolo è un luogo democratico, anzi, anarchico. Tutto è concesso in quanto non esiste altra verità oltre ciò che viene mostrato brevemente. La verità è la novità. Una novità che verrà presto dimenticata. Anche il complotto può essere dimostrato, può essere mostrato. Anch’esso è parte di un discorso coerente, pertanto anch’esso è una cosa di breve durata, una novità. Anche voi, complottisti, potete dire: Ecco, è lì. Vi stanno fregando, umanoidi.
La sovrapproduzione crea dimenticanza. La dimenticanza è il luogo in cui avviene la disgregazione dell’Io. Anche gli odiatori dell’Occidente, che alzano la bandiera dello spirito critico e dell’amore per la ricerca a colpi di click sui giornali on-line spettacolari, guardano con interesse all’ideologo Dugin. Ma la filosofia del politologo putiniano non è altro che una rilettura del percorso del Vecchio Mondo, in cui concetti che l’Europa ha già provato sulla propria pelle sono stati consegnati all’oblio ed etichettati come esperimenti malriusciti. Tra nazional-bolscevismo e nazional-socialismo non c’è differenza. Ma l’estremismo, infantilismo del comunismo, parafrasando Lenin, è infantilismo anche della nostra società globalizzata.
Ma basta, siamo tutti troppo impegnati a dimenticare. Quindi, cosa resta? Do una risposta: Noi conosciamo una guerra solo perché la vediamo, delle altre non abbiamo coscienza. Siamo ignoranti con l’elmetto bucato e la baionetta in gommapiuma.
La vera tragedia? Ora qualcuno soffre, ma noi non lo sappiamo.