Si vede che non era destino di Daniele Petruccioli

Si vede che non era destino di Daniele Petruccioli

Recensione di Gianfranco Cefalì. In copertina: “Si vede che non era destino” di Daniele Petruccioli, TerraRossa edizioni, 2023

La propriocezione è fondamentale per l’essere umano, senza di questa l’uomo non riuscirebbe a stare in piedi, non riuscirebbe a percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio, non riuscirebbe in quel complesso meccanismo di controllo dei movimenti, non riuscirebbe a mantenere una postura corretta e così a contrastare la forza di gravità. La propriocezione è presente già nel feto di sette mesi, che comincia a distinguere gli stimoli esterni da quelli interni.

Maria non è piena di grazia ma è bellissima. Maria ha i piedi ben piantati nella terra, in un equilibrio che solo dall’esterno può sembrare perfetto. Umana, troppa umana, ne possiamo sentire i passi, possiamo percepirne i rumori, possiamo vederla lì, con la terra tra le dita e l’argento nel corpo. Maria ha quattordici anni ed è già madre, ancora non ha “conosciuto” suo marito Giuseppe ed è presa da tutti quei dubbi che possono nascere in una mente così giovane. Parla Maria, parla tanto. Ha in testa tante cose, oltre l’argento. Ha in testa idee e sorrisi, strade e luoghi. Maria non si vergogna, non nel senso comune che di solito diamo a questa parola, ha dei timori, ma sa che Giuseppe è un brav’uomo, sa che Giuseppe saprà capirla, sa che quell’uomo più grande di lei saprà accoglierla fra le sue braccia. Così Maria diventa madre, lo fa in un luogo di fortuna, lo fa con la speranza intorno, è aiutata Maria, c’è Giuseppe, ma c’è soprattutto Elena. Maria non è mai sola, i bambini le stanno sempre vicini, corrono, ridono, alle volte stanno in silenzio, lei si preoccupa, ma non l’hanno mai abbandonata, sono lì, sono sempre stati lì.

Il figlio cresce, la crescita spaventa, ha paura del suo relazionarsi con un mondo ostile, è severa Maria, è buona, è madre. Maria ama il proprio figlio, non ci sono dubbi, lo ama più di sé stessa, ma alle volte non lo capisce, non riesce a capire le azioni del figlio, non capisce i suoi comportamenti, e se nell’infanzia riesce, non a perdonare, perché il figlio non ha nulla di cui farsi perdonare, quando comincerà a crescere, quando anche il figlio avrà passato l’adolescenza, quando sarà grande e maturo Maria sarà arrabbiata, sarà umana, sarà orgogliosa, non chiederà mai niente, ma vorrebbe, vorrebbe un figlio più presente, un figlio che stia con sua madre ora che Giuseppe non c’è più. Maria non fa pesare niente al figlio, niente se non i silenzi reciproci, poi quando le bocche si muovono e cominciano ad articolare suoni, parole, lei in qualche modo si placa, capisce, alle volte non condivide, ma comprende. Il figlio è oramai grande, l’argento ogni tanto si presenta lo stesso prepotente, i bambini ci sono ancora, Maria però adesso ha paura, ha una tremenda paura, segue insegue il figlio, vuole capire, vuole incontrarlo ma non gli vuole dare questa soddisfazione, è umana, troppo umana.

L’amore vince, gli va incontro, è aiutata da un’altra Maria, che incontra al lago, con i piedi scalzi, e quella diffidenza nata dalla gelosia, sì perché Maria madre è gelosa, quel suo figlio le “appartiene”, lo ama, ma come madre sa, prima o poi doveva succedere. La diffidenza si trasforma prima in rispetto, poi in affetto, ma la paura non passa, è sempre lì, cede per il bene del figlio, decide di incontrarlo, ancora non sa nulla, non immagina. Il figlio viene arrestato, un processo sommario, Maria vuole sapere, Maria deve sapere se suo figlio verrà portato via e dove, Maria si butta nella folla, non vede nulla, Maria vuole solo sapere.

Potrebbe benissimo essere una storia contemporanea, figlia delle migrazioni e delle guerre, una storia piena di ragione e sentimento, in cui chiedere alla polvere risulta una necessità, vitale e inevitabile. Oppure potrei spostarmi lungo le rotte atlantiche meridionali e finire nella terra del fuoco e leggervi un certo realismo particolare e sfrontato, magico, o ancora rimanere ancorati a terra e finire in aria con la mente pensando e ripensando a urgenti problemi psichiatrici dati dall’azzurro invadente e bambini visibili invisibili che si ascoltano più che vedersi.

Niente di tutto questo, come avrete capito bene, qui stiamo parlando della Sacra Famiglia, di quella Maria in particolare e quel figlio così amato ma anche alle volte rimproverato è Gesù.

Liminare e liminale: entrambi i termini ben si sposano con questo romanzo, l’aspetto miracolistico viene messo in secondo piano per esaltare la figura di una donna, di una madre. Se liminare rimanda a una soglia che è difficile alle volte vedere e oltrepassare, una soglia che è anche difficile in certi casi solo individuare; liminale rimanda a un fenomeno al livello della soglia della coscienza e della percezione, ed è proprio qui che gioca tutto il romanzo.

L’autore avrebbe potuto giocare facile, dopo il bellissimo romanzo di esordio “La casa delle madri”, avrebbe potuto continuare su quella strada, invece sceglie sia un tema molto delicato che una scrittura molto diversa. Daniele Petruccioli è pieno di grazia nella sua scrittura, invece la sua Madonna sarà piena di una grazia composta e scomposta. Se le tematiche possono apparire simili, pur sempre di famiglia si parla, il modo di affrontarle è diverso, ne “La casa delle madri” c’era un opera di scavo, sempre più in profondità, come un archeologo e i suoi strumenti per portare delicatamente in superficie reperti sotterrati dal tempo, in questo libro ci troviamo tutto alla luce del sole, le parole riflettono Maria in maniera cristallina.

Per tracciare la vita della protagonista l’autore non ha bisogno di immergersi sempre di più perché la vera necessità è quella di far sì che Maria risulti splendente nella sua di verità e questo appare possibile solo esponendola nella maniera più limpida e trasparente possibile. Sta anche in questo la forza di un romanzo che ripercorre una storia di cui praticamente sappiamo già tutto e che sarebbe davvero difficile affrontare e rielaborare senza la maestria di uno scrittore capace.

Daniele Petruccioli è un grande scrittore, e sì, si vede che era destino.

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