Sfruculiare il nulla
Articolo di Martino Ciano. Foto di Vincenzo De Presbiteris
Arrivò all’improvviso a sfruculiare quel po’ di pazienza che gli era rimasta. Non era il momento adatto, anzi era il peggiore; anche perché la tipa da spiaggia con i tre cuori tatuati sul braccio sinistro aveva iniziato a sbraitare con il vicino di ombrellone. Infatti, quell’esemplare maschio, con il suo costume a mutandina anni ottanta, color giallo tendente all’arancione, si addormentava sul lettino e iniziava a russare come un orso. E lei si infuriava, ché doveva leggere la rivista, che aveva pagato tre euro e venti centesimi, in cui c’erano le storie dei Vip e delle loro fuitine fuori porta. Comprandola le avevano dato in regalo un flaconcino da cinquanta millilitri di crema protettiva dai raggi Uv che, a quanto pare, saranno ancora più potenti di quelli dell’estate precedente e provocheranno ancora più tumori alla pelle rispetto allo scorso anno, quindi ci saranno più morti degli anni passati. Cazzo, andrà così! La legge dei numeri non può essere messa in discussione.
Perciò quel cretino in mutande non doveva russare, perché c’erano già troppi problemi nel mondo e lei era lì per rilassarsi, per dimenticare tutti i problemi che aveva messo in valigia. Ma quel tizio, nonostante fosse stato svegliato in maniera brusca dalle sue proteste, le rideva in faccia; le aveva sbattuto davanti al naso un sorriso da coglione strafottente, da bullo prepotente, e le aveva detto che lui era un operaio che per un anno si era alzato alle cinque e trenta del mattino, perciò si addormentava dove capitava. Lei, anche se aveva quei tre cuori tatuati sul braccio che la rendevano frivola e radical chic, doveva capire il malessere della classe operaia; doveva solidarizzare con quella narcolessia sintomo di un uomo sempre pronto all’azione che ora aveva il diritto di assopire ogni reazione. Lavorava tra macchinari pericolosi; una distrazione avrebbe potuto costargli un braccio, provocargli una emorragia, oppure amputargli una gamba, magari renderlo impotente. Sì, lei doveva capire e stare zitta, ascoltare quei gorgoglii e lasciarsi trasportare da quella melodia dietro cui si celava un “vaffanculo” alla fatica.
Sì, diceva lei, capiva tutto, ché anche lei era figlia di operai e di gente umile, però lei aveva un lavoro buono; era Oss in un grande ospedale. Aveva lo stipendio fisso pagato dal Sistema sanitario nazionale, la tredicesima, le ferie non godute in busta. Anche lei aveva fatto sacrifici per arrivare lì; una cooperativa le doveva ancora dare tremila euro di arretrati; aveva pulito culi a gratis per sei mesi; si era rivolta al sindacato con l’intento di denunciare lo sfruttamento subito, ma il capo-sindacalista era parente stretto del proprietario della cooperativa, quindi aveva insabbiato la faccenda e lei era stata fottuta. Lei capiva, ma in vacanza non voleva capire, voleva riposarsi. Eppure, da una settimana non riusciva a dormire come si deve, si svegliava in continuazione durante la notte, il cuore le batteva in gola, e sentiva una strana pressione sul basso ventre, come se qualcuno ci poggiasse avesse poggiato la punta di un trapano. Quando lavorava, invece, non soffriva di niente; non aveva neanche le occhiaie.
“Hai capito che storie si acchiappano sotto un ombrellone”, diceva quello a cui sfruculiavano la pazienza, a cui poco importava di tutto, ché aveva pagato trecento euro per fittarsi per un mese un ombrellone in un lido… e manco poteva permettersi di spendere quella cifra, ché a casa aveva una pila di buste verdi piene di multe per infrazioni stradali e tasse non pagate. Altro che vacanza, l’Agenzia delle Entrate voleva quasi duemila euro. Cazzo! E quei due che litigavano tra loro, gli provocavano uno strano prurito al polpaccio destro e, quando passava lì, si spostava sul sinistro; e via così per ore, fin quando non doveva ritornare nella sua stanza di albergo, ma neanche quello poteva permettersi, e tutto finiva.
Poi fu il nulla, ché la chiacchera è per il nulla da dire e il nulla da fare, per il mondo annoiato che accetta e non reagisce, mentre ogni decalogo di educazione civica è ormai declinato secondo il verbo tollerare. Ed è così che sfruculia il vento caldo che si fa grandine assassina, mentre il cielo di vetro riflette ‘sta Terra opaca, ‘sto Pianeta che se esplodesse da una parte dell’Universo farebbero festa. Sfruculiare il nulla…
La parodia è finita con l’uomo con il costume a mutandina dal colore incerto che ha detto “Sì, signò, però siamo tutti uguali“. Il cielo ha tremato, poi ha ruttato ed è andato in mille pezzi. Finirono tutti i problemi.