Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia. Enrico Macioci e l’infanzia
Recensione di Gianfranco Cefalì
Tante scatole. Scatole rattoppate e tenute insieme dal nastro adesivo. Proprio quel nastro adesivo marrone, largo, che sembrava già vecchio appena comprato. Quelle scatole che ognuno di noi ha riposto con cura nella propria stanza buia. Quegli oggetti, quei cubi ricolmi fino all’eccesso di tante cose: storie, passioni, paure, certezze e inganni. Quelle scatole straripano e il contenuto sembra esplodere. Alle volte sappiamo bene cosa contengono quelle parti di cartone tenute insieme dal nastro adesivo, sappiamo che sono cose che abbiamo voluto mettere da parte, per essere dimenticate. Le conosciamo bene, solamente che la nostra storia, la nostra crescita ci ha imposto di riporle senza neanche troppa cura apparente in un angolo della stanza.
In quella stanza, piano piano, abbiamo messo tutto, cose belle e cose brutte. Alle volte abbiamo il coraggio di entrare lo stesso, anche se sappiamo che ci farà male. O proprio perché cerchiamo un po’ di tregua dalla vita che ci fermiamo sulla soglia della porta e attraversatala facciamo scorrere il nostro sguardo per far salire in superficie un ricordo particolarmente felice. Così passiamo in rassegna la nostra infanzia con poche certezze e tanta immaginazione, la nostra adolescenza fatta di crisi vere, presunte e problemi insormontabili all’apparenza e l’entrata nell’età adulta che in realtà non abbiamo mai capito quando veramente sia successa. A sei anni? A quattordici?
Enrico Macioci mi ha spinto in questa direzione, mi ha spinto a pensare e ricordare a che età ho capito alcune cose. E mi è venuta in mente un’altra domanda. Domanda che mi sono posto e che ho avuto modo anche di trascrivere. Qual è il trauma più grande per un figlio? La mia risposta è stata: riconoscere la fallacia dei propri genitori. Di conseguenza degli adulti. Non è proprio questa la domanda che si pone Macioci, forse la sua è anche più impietosa perché più specifica: “Ti dispiace che gli adulti non ci credono mai?”.
L’autore spinge il lettore a riflettere sulla complessità della vita, ci spinge pur nella narrazione inventata a rapportarci crudelmente con la realtà. Lo fa intessendo una storia immaginaria che intreccia alla cronaca per farci ragionare sulla condizione dei bambini e degli adulti, sulle bugie, mezze bugie e poche verità che tutti ci narriamo in un’età particolarmente difficile. Ma non vuole essere solo la storia di due amici e la narrazione di una tragedia veramente occorsa. Il libro vuole mettere un punto fermo, anzi una linea di partenza per un nuovo modo di interpretare la realtà. Non pensate che l’autore sia arrogante o presuntuoso, neanche cinico, solo vuole mettere una linea di demarcazione tra un prima e un dopo, mettendo al centro il fatto di cronaca del piccolo Alfredino che ha cambiato per sempre il modo di raccontare, il modo di interpretare e anche il modo di subire non solo l’informazione ma anche tutti i mezzi di comunicazione di massa.
Macioci ci porta a fare i conti con noi stessi, con il nostro pozzo, con tutte quelle aperture che non abbiamo attraversato, con tutte le colline che non abbiamo scavalcato, con le molteplici feritoie che la vita ci ha messo davanti e che alcuni di noi hanno passato indenni riuscendo a emergere dalle profondità. Altri non saranno mai stati davanti un margine sottile con metà scarpe sul ciglio a guardare in basso perché troppo impauriti dalla vita o troppo cullati o solo molto fortunati. Molti avranno seguito strade complicate, si saranno arrampicati a spuntoni di roccia, si saranno calati con forza e volontà per seguire strade molto complesse, avranno semplicemente vissuto la loro vita, percorso la loro strada, scelta con criterio o imposta da qualcun altro.
Il viaggio che l’autore ci racconta è quello che ci porta fuori dall’età infantile per accompagnarci in un’adolescenza pieni di graffi e piccole o grandi escoriazioni.
Macioci è un autore maturo, riesce a spaziare attraverso le due storie, quella reale e quella di finzione, con grande naturalezza, non si sente quel passaggio e con una scrittura molto ispirata tratteggia non solo un evento che è rimasto nella memoria di molti italiani, ma anche una storia piena di tenerezza con l’incredibile crudeltà della vita.
L’autore ci trascina con grande malinconia in questo spietato viaggio che è il passaggio, l’attraversamento che tutti noi abbiamo fatto e che tanti altri ancora faranno. Questo percorso non ha una strada prestabilita, nessuno ci può dire quali saranno gli ostacoli o se ce ne saranno. In poco meno di cento pagine Macioci ci dimostra che è possibile strutturare un grande romanzo, fatto di parole vere, di coraggio, di vita. Un’opera dal sapore amaro che nello stesso tempo ci restituisce quel gusto agrodolce della vita vera.