Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia. Enrico Macioci e la spettacolarizzazione della morte
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri
Vai a raccontare a un bambino cos’è la morte e cos’è il senso della vita e forse scoprirai che non ce n’è bisogno, perché a modo suo già ha capito.
Così Macioci ci fa entrare nell’età dell’infanzia, ponendoci tra i pensieri di Francesco, che a sei anni scopre la tragedia, anzi è protagonista di quel passaggio d’epoca in cui la morte è diventata spettacolo, sensazionalismo, opinione.
Giugno 1981. Alfredo Rampi cade in un pozzo, l’Italia scopre che in Tv non passa più solo lo svago, l’allegria, ma anche la vita reale, con tutte le sue edulcorazioni, trasformazioni e interpretazioni. La vicenda ebbe un enorme impatto sulla stampa e nell’opinione pubblica italiana. La Rai trasmise in diretta le operazioni di soccorso. Si cercò di salvare Alfredino in ogni maniera, purtroppo finì diversamente.
Francesco vive con maggiore ansia questo avvenimento, perché proprio in quei giorni il suo amichetto del cuore, Christian, è scomparso nel nulla. Ecco che finzione e realtà si uniscono, generando nel protagonista del romanzo quel senso di angoscia, che è sempre timore per un qualcosa di cui non si ha davvero consapevolezza e che è ormai parte del nostro Dna. Proprio quell’avvenimento, raccontato in ogni dettaglio, con maniacale attenzione, fu l’inizio di una nuova epoca.
Da quell’avvenimento, in cui gli occhi delle telecamere ci ipnotizzarono per la prima volta, introiettando in noi immagini di disperazione, cominciò a prendere forza il germe della tragedia che oggi ci ha totalmente modificato? Da lì nasce quel voyerismo che suscita in noi indignazione, terrore, sarcasmo o peggio ancora indifferenza?
Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia non è solo un romanzo, ma una riflessione amara sulla società, sull’informazione, sulla spettacolarizzazione, sul nostro modo di giocare, attraverso il sensazionalismo, con il mistero della vita e con la fatalità.
Ma c’è un altro aspetto che colpisce di questo libro di appena cento pagine, il modo in cui l’autore ci fa attraversare l’infanzia, momento che non è di allegra inconsapevolezza, ma durante cui si scoprono dolorosamente le regole del gioco che ci accompagneranno per tutta la vita. L’infanzia che Macioci ci racconta non è baluardo della spensieratezza, ma è un costante risveglio che educa all’assurda consapevolezza.
E forse tutto è racchiuso nella frase, usata come titolo, Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, che Alfredino gridava dal fondo del pozzo nel quale era caduto… come a dire che, in quel momento, anche un bambino aveva scoperto che la morte arriva a qualsiasi età, e che la luce non sempre riesce ad attraversare il buio.