Sete

Sete

Racconto e foto di Mariangela Massara

“Perché?”. Aveva soltanto tredici anni, era una ragazzina giovane, graziosa e piena di vita, ma, quell’interrogativo, turbava la spensieratezza della sua adolescenza. “Perché esistono le guerre?”, era soltanto una tra le tante inquietudini che la opprimevano, anche se, forse, per lei, questa era la più angosciante.

Aveva, con una tenacia inusuale per la sua giovane età, esplorato la questione, investigando nel mondo degli adulti, ma nessuna replica appariva sensata. “Esistono da sempre”, “sete di potere”, “cause politico-militari”, “territori contesi”, “motivazioni economiche“, “lotte religiose”. Non aveva ben compreso il significato di alcune risposte, nonostante i tentativi fatti dagli adulti, per rendere semplici dei concetti complessi. Tante erano le affermazioni ma nessuna aveva colto l’essenza del suo interrogativo. Non era soddisfatta.

Immergendosi negli eventi del passato, a scuola aveva notato che, nel mare della storia, le guerre rappresentavano un’onda che aveva sempre increspato e agitato la vita dell’uomo. Ne aveva parlato con la sua amica del cuore, un giorno, mentre passeggiavano lungo un sentiero, nell’intento di raggiungere un posto molto lontano dalle loro dimore che consideravano un “paradiso incantato” e che era una destinazione troppo distante per essere rivelata al mondo degli adulti.

Raggiunto il loro luogo segreto, un campo di girasoli dagli steli altissimi, avevano iniziato a correre, disperdendosi felici. Iris pensava di non essere udita e aveva urlato al vento, la fatidica domanda: “Perché gli uomini lottano contro altri esseri umani?”

L’amica, piombando alle sue spalle, l’aveva abbracciata forte e le aveva sussurrato “perché ti rattristi ora? Io ti voglio bene”. La sua compagna di giochi non aveva risposto alla domanda, ma aveva compreso bene il suo dubbio e il suo punto di vista. Con le sue dolci parole era riuscita a tranquillizzarla. Quel contatto aveva riscaldato il suo cuore e placato il suo stato di ansia per un po’.

Era ormai l’imbrunire, il sole lentamente stava scivolando via, oltre i campi. All’orizzonte i colori rosso e arancio del tramonto si mescolavano con quella immensa distesa di giallo che sembrava pronta a inghiottire la luce. Era tempo per le due ragazze di rientrare, così, senza parlare, stanche e ansimanti per le loro scorrazzate nei campi, si incamminarono mestamente sulla via del ritorno.

Entrambe silenziose, camminavano l’una accanto all’altra, ognuna assorta nei propri pensieri. La guerra è dolore, violenza, distruzione, morte, pensava Iris, può esistere un desiderio umano che possa giustificare tante tragedie? Senza neppure rendersene conto espresse ad alta voce quella domanda, condividendo con la sua amica il fardello delle sue ansie che, sin da quando era partita, quel giorno, la assillavano.

Tatiana desiderava tanto consolare l’amica ma, tutto ciò che riuscì a esprimere per rincuorarla, fu: “gli uomini non sono tutti buoni, Iris, esistono anche gli uomini cattivi”. L’amica non rispose e continuò invece a esprimere a voce alta le sue inquietudini, nell’intento di fugare quella tremenda angoscia che la opprimeva, forte, sul cuore.

“Perché al mondo si lotta per salvare gli uomini dalle malattie e prolungare l’esistenza umana e poi si giustificano le guerre che, in un solo istante, distruggono migliaia di vite?”. In effetti milioni di uomini di scienza, in tutto il mondo, ricercano, combattono, da sempre, per proteggere la salute e la vita dell’uomo sulla terra e poi, una deflagrazione ed ecco che una bomba, in pochi secondi, trasforma una città brulicante di vita in un silenzioso deserto di vuoto irreale. Il nulla.

“Ha un senso tutto ciò? La vita è preziosa, fugace e fragile come il volo di una farfalla. Perché distruggerla?”

Era ormai un fiume in piena, non riusciva a frenarsi e, senza attendere risposte dall’amica, espresse tutti i suoi turbamenti.

“Combattere per accaparrarsi nuovi confini, nuovi territori, poteva essere una giustificazione?”

Era giovane e non comprendeva il valore di contendersi un solco, un lembo di terreno e dare la vita per questo. Si considerava abitante del pianeta terra e questo, per lei, era sufficiente. Ma forse era ancora troppo piccina per comprendere o non ancora troppo adulta per dimenticare il dolore che una guerra provoca! Combattere per difendere un ideale, un sogno, un credo fino a quali feroci azioni poteva condurre? Aveva paura dell’uomo!

“Chi è un nemico?” concluse rivolgendo il suo sguardo pieno d’angoscia all’amica.

Raccontò a Tatiana che qualche volta aveva litigato con alcuni compagni di classe che volevano, a tutti i costi, imporre delle regole ingiuste che il resto della classe non condivideva. Aveva provato rabbia, risentimento e non era riuscita a far valere le sue ragioni. Comprendeva bene che gli esseri umani sono tutti diversi e unici e che non è così facile condividere, convivere, relazionarsi. Aveva tanto sofferto, in quel periodo, e non era riuscita a ribellarsi a quella piccola banda di amici-nemici che non comprendevano la differenza tra il bene e il male. In alcuni momenti li aveva odiati profondamente ma poteva considerarli nemici?

No, un nemico in guerra è molto di più, concluse. Un soldato può uccidere una persona che non conosce, un fratello, un bimbo, una donna. Tra le altre cose, non riusciva a comprendere perché un bimbo doveva essere vittima di guerra. Non era in grado, pur sforzandosi, di riuscire a immaginare le sue possibili colpa. Era troppo piccolo per aver fatto del male a qualcuno. La sua unica responsabilità era quella di essere nato e di trovarsi in quel preciso lembo dello spazio e, in quell’attimo preciso che spezza un fiore appena germogliato. Aveva un senso tutto ciò? Era solo una bambina ma non riusciva a coglierlo.

Con violenza e ferocia si può infierire su di un corpo umano e infliggere pene infinite. “Un soldato si chiede il perché fa questo? Cosa prova quando uccide un altro essere umano? Ha una coscienza? Un senso di colpa? Ha fratelli e sorelle e una famiglia che lo amano?”.

Tentava di trovare risposte ma immagini della guerra evocavano visioni di crudeltà e ferocia insopportabili. Era soltanto una bambina. Aveva paura. Cercava di dare un significato all’orrore della violenza ma invano. Nella sua logica di bambina la radice del male è fame di amore e sete di odio. Un uomo che ama non può fare del male a un altro uomo, era sicura di questo.

Tutti questi pensieri la turbavano e invadevano, da sempre, i suoi sogni con paesaggi spettrali e scene di tempeste di sabbie in deserti lontani privi di vita umana.

Per la prima volta era riuscita a sfogarsi con la sua compagna, mentre camminavano, lungo il sentiero di ritorno, Tatiana l’abbracciò con forza e la tenne stretta a sé per un po’. Poi raccolse un giglio bianco che spiccava ai margini del selciato e lo porse in dono a Iris. Ripresero a camminare in fretta poiché tutt’intorno era quasi buio e la strada non era illuminata. Imboccarono l’ultimo tratto prima dell’arrivo a destinazione quando videro due ombre che venivano loro incontro lentamente, erano due uomini in divisa.

Tatiana prese Iris per mano e accelerò il passo per superarli. Ma uno dei due bloccando i loro passi con tutta la mole del suo robusto corpo chiese “dove andate?”

“Al rifugio” rispose Tatiana, fermandosi, mentre Iris si nascondeva dietro di lei, tutta impaurita.
“Di dove siete?”
“Bakhmut” risposero in coro.

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