Senza di me. Divagazioni da ex vacanti

Senza di me. Divagazioni da ex vacanti

Articolo di Antonio Maria Porretti

Per molti anni ho fatto un uso smodato di una eau de parfum che mi mandava letteralmente in visibilio. Una fragranza esclusiva – ma non in esclusiva – studiata con la più amorevole cura e in ogni minimo dettaglio. Avevo compiuto parecchi esperimenti prima di individuarne la formula più adatta e conforme al tasso di acidità della mia pelle. Poi un bel giorno, all’improvviso, quasi per uno di quei bizzarri incantesimi come solo la vita è in grado di procurarci, trovai la mia magica essenza: “Assenza di me”.

Una combinazione di note fiorite agli estratti di Sottrazione, Mancanza, Perdita, Vuoto.
Oh, non potete immaginare fino a che punto conturbasse i miei sensi!
Quasi un orgasmo, se posso dire.

Mi rendo conto che per chi non abbia mai gravitato intorno a certe zone sulfuree della propria autostima, per chi non si sia mai addentrato troppo in radure di avversione e nausea gotiche al cospetto della sua corporeità , per chi non abbia provato quel rancore con venature dark da indirizzare alla propria persona; non sia di così immediata comprensione. Forse, ai fini di una maggiore chiarezza, farei meglio a parlare di dipendenza, giacché chi più chi meno, tendiamo tutti a svilupparne almeno una nei confronti di qualcuno o qualcosa nella vita.

A volte, più hanno caratteristiche e peculiarità tossiche, patologiche, nevrotiche, più gli attaccamenti che andiamo a rimpinguare, si fanno nostri testimonial di rappresentanza, ambasciatori, divulgatori e interpreti di noi spiritelli inquieti a rischio di astinenza, lasciandoci assaporare l’ebrezza di sentirci anche noi delle Star degne e meritevoli di un premio Oscar. Nel mio caso, si trattava di una dipendenza di natura e aspirazione ascetica, tendente all’azzeramento, alla cancellazione, a raggiungere e conseguire la quintessenza del nulla. Oh che giorni, che anni elettrizzanti furono quelli!

Così frenetici e densi fervore! Mistici. In fondo, anche le ossessioni sono una manifestazione di religiosità; non trovate anche voi? Provate a pensarci: la ricerca di una serenità interiore, non è di per se stessa una forma di religione? E se il fine giustifica sempre il mezzo, o quasi sempre, perché mai porsi dei limiti nella scelta? Ognuno trova quella che più gli si adatta meglio, più corrispondente al suo sentire. E quando non si sente nulla – capita – cosa potrebbe esservi di più naturale se non voler diventare un Nulla? E a quel punto non puoi che procedere e avanzare sempre più in sottrazione, mancanza, perdita, vuoto. Sempre più vacante in terrore da crisi di astinenza. Altrimenti, che razza di dipendenza sarebbe se non svolgesse per bene e come si deve il suo compito? E così, quel il segno – era l’unico Dio valido e di valore per me.

Sia fatta la Tua Volontà. Sempre più in giù, sempre più in terra. Tale era la mia preghiera, un girotondo di amore e obbedienza. Senza riserve. Senza limitazioni. Senza timori. Con fede assoluta.

Oh, furono tempi di prodighe ristrettezze quelli! Scialacquati ai massimi livelli. Non lo dico per una forma di presunzione o di vanità, sebbene quest’ultima escogiti sempre astuti mascheramenti per irretirci e blandirci con le sue lusinghe. Poi un giorno, d’un tratto, mi accorsi che la mia pelle – o quel che ne rimaneva – non era più nemmeno in grado di percepirla quell’essenza, come se quell’eau de parfum avesse perso tutto lo charme della sua fragranza. I suoi aromi non conturbavano più i miei sensi. Niente più orgasmi. Ogni ebrezza svaporata.

Come si cambia per non morire/ Come si cambia per ricominciare… dice una canzone di Fiorella Mannoia. Quant’è vero! Nella vita si cambia sempre. Si cambia città, lavoro, partner, i gusti cambiano, gli amici cambiano. E anche il profumo che vuoi spruzzarti addosso e di cui vuoi essere testimonial può cambiare. Certo qualche traccia, qualche sentore del vecchio rimarrà sempre, come i ricordi che ti legano a una vecchia casa che non c’è più. Non puoi far finta che non sia mai esistita. Non puoi rinnegarle quelle stanze dove a furia di inciampare e cadere, tirarmi su e poi andar di nuovo giù, alla fine ho imparato a camminare. Sì, a capire per la prima volta cosa significasse davvero per me: attraversare strade senza più farmi ostacolo, barriera, muraglia di me; senza più mettermi di traverso, per farla breve. Tanto tocca sempre a noi prenderci per mano, quando il semaforo da rosso che era passa al verde.

Da soli o in compagnia non è così importante. Quel che conta è avere ancora un altro oggi da percorrere e scoprire.

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