La sanità in Calabria: un punto di partenza per l’umanizzazione delle cure
Articolo di Guido Borà. Foto di Martino Ciano. “Le opinioni qui espresse sono a titolo personale e non coinvolgono gli enti di appartenenza”.
Le notizie dei troppo frequenti casi di malasanità in Calabria nel corso degli anni hanno anestetizzato gran parte dell’opinione pubblica, ma non le coscienze di chi, in questa Regione e nel resto del Paese, lotta per il diritto alla salute e per un futuro migliore. Questa breve riflessione è dedicata a loro.
Il Servizio sanitario della Calabria è parte del Servizio sanitario nazionale (SSN) e il suo funzionamento è regolato dalla Costituzione (art. 32 e Titolo V riformato nel 2001), da leggi e decreti nazionali, dagli accordi Stato-Regioni, da norme e regolamenti regionali e, soprattutto, dai rigidi meccanismi di finanziamento e di controllo della spesa. Per questo motivo ritengo utile tentare, prima di descrivere i problemi della sanità di questa Regione, un breve excursus sulla sanità italiana, semplificando l’argomento anche a costo di qualche imprecisione e inesattezza. La sanità in Italia è organizzata in 21 Servizi sanitari regionali (SSR) dotati di piena autonomia sul territorio che ricevono un finanziamento annuale dallo Stato. La dotazione assegnata alle Regioni e Provincie autonome deriva dal riparto del Fondo sanitario nazionale (FSN), calcolato in base al tipo di assistenza – prevenzione 5%, territoriale 55% e ospedaliera 45% – e ad alcuni parametri comprendenti la composizione della popolazione per classi di età in quanto la popolazione più anziana e, in misura minore quella giovanissima, ha una maggiore incidenza sui costi della salute. La spesa sanitaria di una regione non è illimitata, ma è vincolata all’importo assegnato: nel caso di sforamenti sistematici in un triennio, la regione viene sottoposta a un regime denominato Piano di rientro, con blocco automatico del turnover di personale, sotto la vigilanza del Ministero dell’economa e delle finanze (MEF) e, nei casi più gravi, al commissariamento.
Nel 2021 il Fondo sanitario nazionale è stato di 116,3 miliardi di euro per la parte destinata ai LEA di cui parleremo dopo: alla Calabria sono stati assegnati 3,41 miliardi euro. Nello stesso anno la spesa sanitaria pubblica corrente della Calabria è stata di 3,74 miliardi di euro, corrispondente a una spesa pro-capite – calcolata come rapporto tra la spesa su tutta la popolazione regionale – di 2.021 euro e all’11,45% rispetto al prodotto interno lordo (PIL) regionale. Nello stesso anno in Italia la spesa pro-capite è stata di 2.149 euro con un incidenza rispetto al PIL del 7,13% mentre in Lombardia di 2.152 euro con un incidenza sul PIL del 5,3%. La differenza tra Calabria e Lombardia di 131 euro pro-capite, che non sono poche, dipende dai criteri di riparto, tanto che in passato i cosiddetti Governatori delle Regioni meridionali hanno protestato per questo presunto sotto-finanziamento. Da un lato, quindi, le carenze nell’offerta sanitaria delle Regioni meridionali possono essere dovute al minor apporto di risorse, ma se si capovolge il punto di vista, rapportando le risorse della sanità al PIL regionale, vi è invece un sovra-finanziamento: una contraddizione pressoché irrisolvibile al momento. Tra la Calabria e la Lombardia, ad esempio, vi è un differenziale a favore della prima di 6,15 p.p. sul PIL – un lusso da certi punti di vista. Guardando a questi ultimi dati, le istanze dell’autonomia differenziata sembrano legittime – si tenga conto che il 70% e oltre dei bilanci delle Regioni e Provincie autonome proviene dal FSN: la redistribuzione premia eccessivamente le Regioni con un PIL più basso sottraendo risorse a quelle più ricche. Sebbene non sia questo lo spazio per affrontare nel merito la questione, vi ho fatto accenno solo per dare uno spunto di amara riflessione.
La gestione della sanità in Calabria funziona molto male nonostante il commissariamento durato più di undici anni. Spicca il ritardo con cui sono pagati i debiti verso i fornitori: ad esempio i tempi medi di pagamento trimestrali per l’azienda di Reggio Calabria sono tuttora di 229 giorni, l’azienda ospedaliera Materdomini di Catanzaro è arrivata a 452 giorni. Quello che, tuttavia, più interessa ai cittadini è la qualità dell’assistenza territoriale e ospedaliera: tra i primi indicatori che denunciano la mala sanità sono le morti evitabili, ossia i decessi che con la prevenzione, la diagnosi precoce e le cure appropriate si sarebbero potuti evitare. Nel 2021 in Calabria sono stati stimati 196 decessi evitabili ogni 100.000 residenti, un numero tra i più elevati in Italia dopo Campania e Sicilia. Le cure non appropriate, la presa in carico non ottimale dei pazienti e gli stili di vita (non monitorati dall’assistenza distrettuale) ricadono anche sulla speranza di vita alla nascita che è al di sotto della media nazionale (va detto che dopo il Covid-19 le Regioni meridionali stanno recuperando più lentamente su questo aspetto): nel 2021 per gli uomini era di 79 anni 1,14 anni in meno rispetto alla media nazionale e per le donne 83,64 anni ossia 1 anno in meno rispetto alla media nazionale. Le differenze si fanno più marcate quando si confrontano i valori della speranza di vita in buona salute alla nascita con i valori medi nazionali: 55,14 anni per gli uomini contro la media nazionale di 61,78 e 53,78 anni per le donne contro la media nazionale di 59,26.
Un altro indicatore della scarsa qualità dell’offerta è la fuga di pazienti: nel 2021 sul totale dei ricoveri in Regione il 16,5% dei calabresi, in proporzione maggiore per i pazienti oncologici, è stato costretto a recarsi in altri sistemi sanitari per curarsi (anche se bisogna fare dei distinguo per chi ha ospedali e ambulatori più vicini in altre Regioni), comportando una spesa netta di 123,8 milioni di euro – pro capite sono 69,1 euro. Il drenaggio delle risorse ha costretto la Calabria a prorogare di tre anni il pagamento del saldo 2021, impegnando pesantemente risorse future. Il Fondo sanitario è impiegato in modo inefficiente: per i LEA Livelli essenziali di assistenza, ossia le prestazioni e i servizi che il SSN deve garantire a tutti i cittadini tramite i Servizi sanitari regionali, secondo quanto previsto dal titolo V della costituzione, in Calabria tra il 2010 e il 2019 la percentuale di adempimento è stata del 59,9% – contro ad esempio il 93,4% dell’Emilia-Romagna, la Regione più virtuosa.
L’evidenza che il 40,1% delle risorse assegnate non ha prodotto servizi per i cittadini calabresi può alimentare il dubbio che il presunto sotto-finanziamento della sanità abbia un ruolo meno rilevante di quanto sostenuto dai politici. Un’ulteriore criticità riguarda l’offerta ospedaliera, largamente sottodimensionata: i posti letto ospedalieri sono 1,9 per mille abitanti contro una media nazionale di 3,1 – già molto bassa se si considerano i confronti internazionali ad esempio Germania 7,9, Francia 5,8 e una media dell’Unione europea di 5,3.
Questi pochi dati sono sufficienti a descrivere una sanità allo stremo che drena risorse pubbliche senza fornire un servizio adeguato ai cittadini, ledendo il diritto alla salute sancito dal dettato costituzionale, in quanto non garantisce a tutti i calabresi uguale accesso alle cure, in sintesi una sanità disumana e diseguale. Preme sottolineare, a conclusione di questo breve intervento numerico di impostazione essenzialmente economicista, che riformare la sanità per me significa umanizzare le cure, un concetto mai troppo evidenziato dalla politica, ma ben chiaro alla popolazione. La persona e i suoi bisogni di salute vanno riportate al centro del sistema: è necessario un nuovo paradigma che rivolga l’attenzione alla persona nella sua totalità in quanto il paziente va preso in carico anche dal lato relazionale e psicologico. La pandemia ha evidenziato gravi carenze nell’attuale organizzazione della sanità italiana.
Le esigue, direi scarne, risorse destinate alla salute (15,6 miliardi su 222,1 complessivi) dal PNRR dovranno ridisegnare il Servizio sanitario nazionale del futuro potenziando la prevenzione e l’assistenza territoriale e ottimizzando quella ospedaliera. Una sanità migliore significa anche una società migliore e viceversa: per ripartire la Calabria, e il Paese tutto, ha bisogno di grande impegno civile, di lotta alle mafie e di rimuovere il senso di impotenza che blocca priori la partecipazione alla cosa pubblica. La tragica fine dei poveri contadini di Fontamara, può diventare una triste metafora della situazione attuale. Autori dell’ingenuo giornalino Che Fare?, pubblicato con coraggio e buona volontà, furono soffocati dalla violenza di una società autoritaria e profondamente diseguale.