Di tutti i nostri ospedali. Gli ormoni della Divina Provvidenza

Di tutti i nostri ospedali. Gli ormoni della Divina Provvidenza

Articolo di Martino Ciano

Le avete viste le scatole vuote calabresi? Si chiamano ospedali e al loro interno troveremo pochi medici, pochi infermieri e apparecchiature che funzionano a giorni alterni. Camminiamo tra le corsie riempiendoci le narici di profumi disinfettanti, magari qualcuno si ritirerà a casa con i polmoni lindi e pinti e anche con il cervello annebbiato. La sanità è una fossa: ciò che è pubblico è di nessuno, ciò che nessuno controlla è una mangiatoia ghiotta, anche se sono rimaste solo le ossa. Ghiotti sono anche i desideri di risanamento, certi pazienti anche sono stati curati con le promesse.

Un quadro desolante lo trovi in ogni presidio. Al fianco del lisoformio c’è sempre una bottiglia d’acqua, quasi un invito a sciacquarsi la bocca prima di parlare di sanità. Nessuno sa come si sia creato il buco nero pari a qualche milione di euro, più o meno irrecuperabile, a patto che non si tagli tutto e ci si torni a curare con le erbe per non gravare troppo sul portafoglio pubblico. Coloro che hanno buona memoria dicono sempre che la Calabria era terra di magare, di fattucchiere che sapevano controllare le forze del bene e del male. Saranno loro a salvarci insieme ai medici cubani?

Si dice che la sanità pubblica in Italia sia stata volutamente affossata. C’è stato un tempo in cui le vacche grasse erano così docili che si lasciavano squartare con un grissino, come il tonno di una famosa pubblicità. Ora manco una visita puoi prenotare, ché se ti serve urgentemente ci vogliono mesi, se è solo un esame di routine ci vogliono anni. E sono stesso gli inservienti che ti dicono dopo aver dato un’occhiata alle sconsolanti liste d’attesa: “Caro paziente, vada dal privato che in un paio di giorni s’è tolto il pensiero”. E il paziente va in uno studio privato e ci trova il medico che aveva intravisto in una corsia dell’ospedale, e lo vede che è pure dispiaciuto del fatto che dovrà chiedergli un giusto compenso per la sua prestazione, peggio ancora quando dovrà comunicargli “che è meglio in contanti e, in ogni modo, senza fattura”.

Un giorno, un mio amico mi raccontò di quando sua moglie era al termine della sua dolce attesa. Lui però diceva che la sua compagna era prena, come si dice per le bestie, e non perché la considerasse tale, ma perché come una bestia era stata trattata, visto che partorì in casa, come un tempo, perché il primo Punto Nascita era a duecento chilometri, anche se a poca distanza ce n’era uno che avevano chiuso e che prima o poi avrebbero riaperto; ma ancora oggi non ci pensano proprio a riaprirlo, anche se lo dicono ogni santo giorno.

E passa il giorno e passa la notte, solo queste certezze possiamo dire: qui in Calabria sia nascere che morire è una follia.

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