Saltburn. Ciò che si muove tra thriller, pop e queer

Articolo di Letizia Falzone. In copertina la locandina del film tratta dal web
Come nei grandi romanzi della letteratura inglese, il film prende il titolo della tenuta in cui si svolge il racconto, un imponente e tetro castello nella campagna inglese in cui sono passati Riccardo III ed Enrico IV e aleggia il fantasma di una nonna; in cui le camere abbondano ma i bagni sono da condividere. Ci si ritrova in una saletta per ammazzare il pomeriggio e ci si riveste a festa per la cena, con uno sconfinato giardino dominato da un labirinto che è chiaramente un’allegoria (e le allegorie si sprecano: il teatrino con quattro pupazzetti, le tende come un sipario, lo “spogliatoio” tra le camere).
Tutto ci dice che siamo nel 2006, i look dei protagonisti, la colonna sonora, ma ciò che succede in quella casa, così come ogni singola azione dei suoi abitanti, sembra uscire da un libro ambientato nel 1800.
Oliver frequenta Oxford, ma è uno di quegli studenti arrivato nell’istituto con una borsa di studio: è intelligente ma povero, fatica a integrarsi nei gruppi di studenti ricchi e privilegiati che nella storica università vedono un noioso passaggio obbligato della loro gioventù. Oliver viene da una famiglia disastrata, ha una madre tossica e un padre spacciatore, Oxford è il suo biglietto per svoltare. Poi vede Felix e, come chiunque, ne rimane incantato. Perché Felix è bellissimo, è simpatico, è sexy ma soprattutto è gentile, figlio di quella cortesia che solo chi nasce con i soldi, dunque non deve abituarsi a essere ricco, sa emanare. I due diventano amici, Felix prende Oliver sotto la sua ala, lo invita a trascorrere l’estate a Saltburn. Sarà l’inizio dell’ossessione.
A poco a poco lo sconosciuto si insinua nei meccanismi di una nobile famiglia disfunzionale dove avrà modo di fare la conoscenza del patriarca Sir James, della di lui algida consorte Lady Elspeth; di Venetia, sorella di Felix apparentemente spensierata, ma dentro rotta e problematica; Farleigh, un cugino che vive a tempo indeterminato a Saltburn mentre sua madre, reietta, è costretta in esilio in America, il primo della famiglia ad accorgersi del doppio gioco di Oliver. Ed è così che, tra sorrisi di cortesia, battutine sottobanco e reciproche diffidenze, questo mellifluo e manipolatore riuscirà a sedurre, con modi e tempi appropriati, ciascuno dei membri di questa facoltosa brigata, rischiando tuttavia di veder più volte riesumata la marcia verità celata al di sotto del pesante tappeto che avvolge il proprio camaleontico talento.
A Saltburn tutti sono belli: perché ricco è bello. La madre di Felix, non riesce a stare in presenza di persone brutte. Venetia e Farleigh vedono Oliver come qualcosa fuori posto. Eppure il ragazzo, quasi come fosse atteso dalla casa stessa, si insinua in questa famiglia condannata alla tragedia, perché totalmente anaffettiva. Non c’è niente di vivo e pulsante nei Catton. La fame di potere e sesso di Oliver arriva come un uragano su di loro.
Oliver è una massa enigmatica di carne, sangue e seduzione: non sappiamo mai bene fino in fondo cosa voglia, cosa stia guardando. Ma, come un vampiro, succhia la forza vitale di tutti i suoi ricchi ospiti. È un film di fluidi corporei Saltburn, in cui alla vuota estetica della classe sociale bene si contrappone il sudore, lo sperma e il sangue mestruale di quella media, a cui appartiene il protagonista.
A tenere insieme i vari spunti narrativi è il tema del desiderio: quest’ultimo gioca su un piano molto più ambiguo, tra invidia ed erotismo, ed è il vero punto interessante del film.
Saltburn vuole mettere in scena l’eterna domanda di tutte quelle opere codificate, in qualche modo, come queer: voglio lui o voglio essere come lui? E infatti il film si apre con Oliver che confessa, a sé stesso e a noi, che “tutti sono convinti che amavo Felix”. Quest’ambiguità si riflette in quelle scene che, appunto, vorrebbero essere disturbanti. Ma chi ha visto qualche horror in più difficilmente ne sarà rimasto turbato. In particolare, la scena della vasca si rifà a uno stilema tipico, quello del cannibalismo (anche se parliamo di sperma) come metafora dell’amore, un amore i cui confini si riversano nel desiderio di completarsi e al tempo stesso annullarsi nell’altro. Oliver non desidera solo Felix, lui desidera la sua vita, desidera Saltburn, sembra attratto più da ciò che rimane di Felix, delle tracce che lascia in giro come una sorta di eredità che lui vorrebbe raccogliere, lo guarda da lontano, ma quando sono vicini quella tensione sembra annullarsi.
Il secondo film da regista di Emerald Fennell offre uno sguardo profondo nel cuore (nero) dell’animo umano, mixando riferimenti letterari e non che spaziano dall’intricato mondo di Shakespeare alla ricca mitologia greca, passando per il Dracula di Francis Ford Coppola.
Gotico e pop, Saltburn è un thriller pieno di luce, una commedia sentimentale avvolta nell’ombra, un diario di formazione che assume già i contorni di un testamento. Avrebbe anche il respiro di una serie ma preferisce condensare tutto in un tempo dove ogni momento resta impresso e che sembra sospeso, eterno, mortale, vitale.
I primi 30 minuti della pellicola ingannano, sembrano l’innocua introduzione di una storia ambientata a Oxford; è quando si arriva a Saltburn che le cose cambiano. Fino all’epilogo, un perfetto, delizioso, inquietante, anche se non inaspettato finale. Non sarà un film per tutti, ma Saltburn è un gioiello di rara cattiveria e intelligenza perché l’arte non deve essere per forza etica o educativa, qualche volta può anche soltanto scuotere e turbare lo spettatore, come uno splendido pacco regalo pieno di orrori.