Ritagli di un apprendista demiurgo

Ritagli di un apprendista demiurgo

Articolo di Martino Ciano

Nessun aggettivo possessivo per descrivere il giorno. Abolisco le proprietà private dell’anima e neanche lei voglio più possedere, ché la notte è vicina e superba corre lungo le strade del cielo. Opposti momenti sono in cerca di equilibrio. Si scontrano la brezza pungente del mattino, il ruggito caldo del mezzodì, la frescura ammaliante del tramonto e poi un sorriso, e un tepore, e una fine, e i desideri del giorno che verrà. Cos’è successo oggi? Nulla, tutto è stato come ieri.

Canta ancora quella canzone che ci ha fatto ballare, anche quando fuori pioveva e in strada un carro funebre avanzava tirando dietro di sé un corteo di disperati; ispirami quelle parole di poche sillabe che mettevano in pace il cuore piegato dalla tristezza. Una preghiera rivolta a qualcuno non salva, ma lascia il mondo in mano alla volontà di altri, ma è pur vero che certe volte è meglio abdicare, sparire, silenziarsi. Ricordi quando abbiamo giocato con i corpi? Ecco, non sapevamo più di chi fossero quelle membra. Di notte le sparpagliavamo per le stanze di casa, poi al mattino le cercavamo e le accatastavamo in un angolo. Forse qualcuna l’abbiamo tenuta per noi, anche se non avremmo dovuto; all’epoca, non conoscevamo né la delicatezza né il rispetto per le cose altrui, tutto era di tutti, quindi di nessuno.

Poiché libero corre il pensiero, neanche è semplice capire quale via imbocca e quale percorso seguirà, ché essere completamente liberi vuol dire andarsene a spasso senza più giudizi e pregiudizi; ma ognuno di noi sa che questo è impossibile, altrimenti la realtà dovrebbe essere vista come una cosa fredda e anonima, nella quale qualcosa succede così, tanto per accadere. Né gioia né dolore, né timore né coraggio, sostare tra le fiamme sarebbe come tuffarsi in acqua, morire sarebbe come vivere. E tutto ciò che viene descritto non potrebbe essere comprensibile, ché anche le parole non avrebbero significato; e a nulla servirebbe colorare i fatti con aggettivi e avverbi, perché una cosa varrebbe l’altra. Eppure, sarebbe affascinante, ché da sempre l’uomo combatte col proprio egocentrismo, con la sua voglia di partecipare alla vita; con la sua volontà di morte e di annientamento che si ostina a chiamare progettualità.

Si dice che la pace dei sensi e l’ignoranza siano state le caratteristiche dell’Eden, fin quando la mela non regalò all’umanità il dubbio e la sua cacciata; e da quel giorno non c’è stato individuo che abbia saputo discernere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, forse perché cose giuste o sbagliate non ce ne sono mai state; le cose accadono, tutto qui.

Torna, che abbiamo già espresso ogni parola. Prevale il disgusto, mentre ogni significato è stato mutilato. Ho riposto nel mio borsello il Funesto demiurgo di Cioran. Ha ragione lui: inutile rivolgersi a Dio che non ha creato, ma ha tentato di fare il mondo. Di qui tutti gli errori, il più madornale è stato proprio l’uomo, il quale è anche l’immagine di Dio e delle sue imperfezioni, ché da un demiurgo stolto non possono nascere perfezioni, tutt’al più cose perfettibili, quindi in continuo perfezionamento; ma anche raggiunta la perfezione, non ci sarebbe un senso, perché le parole qualificano, mentre intorno a noi tutto è già dato, già compiuto e null’altro va aggiunto.

Muto è il mondo… il silenzio e il nulla sono le uniche perfezioni.

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