Rino Gaetano: poeta della libertà

Articolo di Letizia Falzone

Frac, papillon bianco, maglietta a righe, medagliette militari sul petto, ukulele tra le mani e cilindro in testa, regalo di Renato Zero. Così si presenta Rino Gaetano sul palco del Teatro Ariston in occasione del Festival di Sanremo del 1978, in gara con la canzone “Gianna”. Solo Gaetano e la commissione del Festival sapevano che in realtà Gianna fu soltanto la scelta di ripiego, comunque molto azzardata, perché fu la canzone che sdoganò la parola sesso al Festival di Sanremo e in televisione. Ciò che nessuno poteva immaginare, però, era che il successo di Rino Gaetano sarebbe finito bruscamente soltanto tre anni dopo.

Salvatore Antonio Gaetano nacque a Crotone, in Calabria, il 29 ottobre 1950 ma si trasferì con la famiglia a Roma, in Via Nomentana. Qui cominciò a frequentare il Folkstudio, locale dove conobbe artisti come Antonello Venditti e Francesco De Gregori, mentre si dilettava a scrivere testi, ispirandosi ad artisti come Celentano, Jannacci, De André, Bob Dylan e i Beatles.

Come già detto, la svolta avvenne con Sanremo e la sua Gianna, canzone odiata dallo stesso Gaetano, perché con un testo troppo semplice. La sua prima scelta era in realtà “Nuntereggae più”, canzone con un testo fortemente politico che alludeva a nomi e fatti scomodi all’epoca. La canzone uscì comunque dopo la fine del Festival, e dovette fare i conti sia con la censura sia con le critiche dei personaggi impegnati in politica.

Purtroppo, però, per Rino Gaetano il Festival di Sanremo significò un aumento di attenzioni a cui non era pronto, un po’ per il carattere timido, un po’ perché inaspettato, e il risultato fu una totale perdita di controllo del suo stesso personaggio, che fu reso oggetto di attenzione per motivi sbagliati.

Criticato, deriso, maledetto.
Definito un “autore di canzoncine ironiche, scherzose e scanzonate”.
Rino però non si fece mai abbattere.

È con il singolo “Ma il cielo è sempre più blu” che l’anima gaetaniana viene fuori e si concretizza nel dualismo che, da lì in poi, avrebbe caratterizzato le sue canzoni: un’equilibrata dicotomia fra la critica sociale ed il faceto. La canzone, apparentemente snocciolante una serie di frasi e identificazioni di soggetti nonsense, offre invece uno spunto di impegno politico vivo ed ardente.

La sera a cavallo tra l’uno e il due giugno 1981, alle 3:35 del mattino, Rino sta rincasando, è alla guida della sua Volvo 343 grigio metallizzato quando a un tratto, mentre sta percorrendo la via Nomentana, perde il controllo dell’autovettura e si schianta contro un camion che sopraggiunge dalla corsia opposta. L’impatto è terribile: il corpo di Rino però viene immediatamente portato al Policlinico di Roma, ma il cantante è già in coma. Per i medici il cantante necessita di un intervento in un reparto di traumatologia cranica, reparto non presente presso l’Ospedale Policlinico. Per questo motivo Rino deve essere trasferito al più presto presso un’altra struttura. Il cantante viene infatti ricoverato al Gemelli di Roma, ma muore intorno alle 6 del mattino.

È sempre difficile trovare le parole giuste per descrivere la morte di qualcuno, è più semplice affidarsi alle parole di una canzone. E c’è un brano che descrive in maniera molto precisa lo svolgersi degli eventi di quella maledetta mattina romana. S’intitola “La ballata di Renzo”. C’è solo un piccolo ma significante dettaglio. Questo brano, che descrive minuziosamente i dettagli dell’incidente stradale in cui perse la vita Rino Gaetano, lo ha scritto stesso lui dieci anni prima.

Una canzone così sfonda portoni aperti sul solido e torbido mondo del complottismo più agguerrito. Se da un lato la morte precoce e inattesa innalzò Rino Gaetano nell’olimpo degli artisti di culto, dall’altro contribuì a innescare non poche polemiche. I fan del cantautore si scagliarono contro gli ospedali, che trovarono delle scuse per ritardare il ricovero e l’intervento, causando così volontariamente la morte. Le teorie non si fermavano alla negligenza degli ospedali romani: qualcuno, infatti, ipotizzò il suicidio premeditato. Qualcun altro invece ipotizzò addirittura l’omicidio: l’avvocato penalista Bruno Mautone, il quale scrisse tre libri sull’argomento, afferma che Rino Gaetano non morì per una tragica casualità, bensì per chiaro volere dei servizi segreti italiani. Il cantautore citò spesso nei suoi testi nomi e fatti molto delicati, il che significa che doveva avere degli amici fidati tra gli agenti segreti italiani, i quali gli passavano informazioni riguardo le varie indagini. Come se ciò non bastasse, Mautone sostiene la tesi della vicinanza con la massoneria.

Il mistero resta. Quel che sappiamo per certo è che Rino Gaetano sapeva leggere nel futuro e ci ha lasciato, nelle sue canzoni, uno spaccato della società italiana a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, tra i primi scandali politici e le proteste operaie.

Rino Gaetano ha cantato per i calpestati, i disperati, i diversi e gli ultimi. Tutto è già stato scritto da Rino con il suo stile naif e visionario, fra poesia e critica civile. Un artista coraggioso, pungente e intelligente, che cantava in maniera abile e ironica con contenuti pericolosi anche per la sua incolumità. Fuori da ogni schema, disinteressato da ogni qual forma di popolarità: questo era Rino Gaetano, poeta eterno della libertà.

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