Alla prossima prof. Per il momento, grazie
Articolo di Martino Ciano. Un saluto al professore Enrico Esposito…
Cominciò così la nostra amicizia: dallo scambio di un libro. Era il febbraio del 2007, avevo 24 anni, da qualche mese avevo cominciato a scrivere per “La Provincia cosentina”, da pochissimo avevo pubblicato quel mio primo romanzo che per fortuna non è più in commercio, ma che per te aveva qualcosa di particolare: una disquisizione sull’argomento degli argomenti: “Conosci te stesso”. Tu ancora insegnavi al Liceo scientifico di Scalea e alcuni amici, più piccoli di me, con i quali condividevo l’amore per la musica, parlavano di te con entusiasmo e furono proprio loro a consegnarti quel romanzo a mia insaputa.
Era febbraio, ma l’aria era tiepida, ci sedemmo al tavolino di un bar, mi hai ascoltato per un’ora e poi mi hai dato un consiglio: “Approfondisci la filosofia greca”. Ho cominciato da lì un viaggio che ancora oggi non abbandono e ogni volta che abbiamo parlato di persona o al telefono, tu tornavi su quel discorso, ma mi invitavi anche a non spremermi troppo il cervello: “tanto non si potrà mai rispondere a tutte le domande e, a volte, le risposte che ci diamo sono fallaci e accomodanti”.
La tua presenza è sempre stata importante. Ti telefonavo quando avevo bisogno di una delucidazione su un argomento o su una parola che non conoscevo. Dubbi ne avevo troppi; ammiravo, anzi invidiavo la tua conoscenza, la tua capacità di collegare gli argomenti tra loro, quel modo grandioso di semplificare i concetti complicati, anche con l’ausilio di qualche dialettismo che non guastava mai. Di conseguenza, mi rendevo conto quanto amore per la conoscenza ci fosse in quelle parole.
Mi piace dire che per anni abbiamo collaborato. I nostri approfondimenti culturali, le chiacchierate del fuori onda che avvenivano dietro le quinte degli studi di Rete 3 Digiesse, prima, e di Radio Digiesse, poi. Ogni settimana eri da me, non mancavi mai. O venivi in studio o ci sentivamo al telefono. Ti sei preso una pausa solo quando morì tuo figlio. Quella tragedia ti piegò ma non ti spezzò. Mi chiedesti di tornare a registrare la nostra trasmissione “Risfoglio”, perché le cose dovevano continuare. Ti ringraziai, ma tu ringraziasti me perché “anche questo è un modo per condividere il dolore e per sentirsi meno soli”.
La morte è la cosa più naturale del mondo. Fa parte dell’uomo, eppure la trattiamo ancora come una fatalità, come un evento eccezionale che capita una volta ogni tanto, che disturba, che colpisce solo quelli più sfortunati di noi. Ne abbiamo parlato tanto, soprattutto dopo aver letto i miei libri che mettono sempre la morte in primo piano; eppure a te non spaventava quel fascino morboso che avevo verso tale argomento, perché lì c’era il senso di quel discorso che mi facesti il giorno del nostro primo incontro e che terminò con quel consiglio: “Approfondisci la filosofia greca”.
La morte è un limite e gli uomini sono limitati, se vuoi conoscere te stesso devi conoscere i tuoi limiti. Si è secondo misura. I greci avevano orrore dell’infinità e dell’eternità, apprezzavano il limite, la fine, la forma. La morte non è una fine, ma un inizio, perché fa oltrepassare il velo dei sensi e apre ad altri significati e ad altre concezioni di senso. Nessun viaggio ha termine, ma ogni momento è solo una tappa che ci fa progredire in consapevolezza e, forse è questo il problema, abbiamo poche consapevolezze e molta presunzione di sapere.
Ecco prof, riassumo così il senso di tanti nostri discorsi. Sono stato bravo?
Un giorno registrammo una bellissima puntata su “La natura delle cose” di Lucrezio, un latino dal cuore greco. Terminata la puntata mi hai dato un altro consiglio “Tieni quel libro sempre sul comodino, lì dentro c’è tutto: la poesia, la filosofia e la religiosità con cui bisognerebbe attraversare la vita”. Ti giuro prof, da quel giorno il libro sta lì, sul mio comodino.
Ora riposa in pace.
Ciao prof.
Ti saluto come quando chiudevamo le nostre puntate: “Arrivederci. Per il momento, grazie”.