Ricade l’uomo. La ricerca dell’ultimo appiglio

Ricade l’uomo. La ricerca dell’ultimo appiglio

Articolo di Martino Ciano. In copertina: “Ricade l’uomo” di Albino Console, A&B Editrice, 2023

In cosa ricade l’uomo se non in quella sistematica e ambigua lettura della sua realtà, tanto da non riuscire più a vederne l’oggettività? In cosa consiste questa ricerca della forma originaria, di quel calco che ci ha impresso e che è rimasto in quel Cielo al quale rivolgiamo il pensiero? Forse ci manca la nostra dimora celeste?

Le poesie di Albino Console sono aforismi di vita vissuta, nati dall’esperienza e frutto della consapevolezza conquistata sul campo di battaglia. Tutti noi elaboriamo il nostro vissuto, lo trasformiamo in un humus che ci alimenta davanti a quegli accadimenti che consideriamo “nuovi”. Ma gioia e dolore sono facce della stessa medaglia, lo fa dire in modo più forbito Platone al suo Socrate in quella prigione in cui si darà la morte con la cicuta solo per essere coerente.

Ed è questo il primo aspetto che cogliamo nelle poesie di Console, la coerenza dell’autore che accetta la sua sorte raccontandola, imprimendola su un foglio che avrà una sua durata, che forse evaporerà nelle trame dei secoli, ma che non perderà mai la sua forza evocativa e narrativa. È il dolore che sa raccontare più della gioia, lo sanno bene i poeti e gli scrittori; è in questo sentire che scava e penetra nel profondo che si trova la sostanza grezza dell’uomo. Non me ne vogliano gli “ottimisti”, ma è nel dolore che si acquisisce la “consapevolezza”, anche della gioia.

In quella “Chora”, in cui il divenire fa dell’ente qualcosa che mai ha compimento, ogni cosa è un costante parto. Ma si può partorire senza patire? Ma anche l’utopico azzeramento del dolore potrebbe avvenire solo facendo pratica con la sofferenza, e se anche ci riuscissimo non avverrebbe attraverso uno sterile esercizio di prevenzione, al massimo saremmo riusciti solo a renderci sordi ai suoi richiami.

Il mondo è tutto ciò che accade, diceva Ludwig Wittgenstein. In tale proposizione sta anche l’annullamento della nostra intenzionalità, di quella necessità di vestire di nostro ciò che ci succede intorno. In quanto illusoria e volontaria rielaborazione, la realtà ci parla come il ventriloquo fa per mezzo del suo pupazzo. Ecco, cosa genera quella sensazione di indifferenza che avvertiamo quando qualcosa non va come vorremmo. Sembra un’intuizione da poco, ma è ciò che smuove l’arte nelle sue ramificazioni, ossia questo dolore generato da quella Realtà matrigna, sfuggente, il cui divenire è mistero in movimento, rapida conoscenza che si svela solo in caso di una fugace intuizione.

Un tempo, l’artista pregava prima di mettersi al lavoro, supplicava Muse, Dei, Demiurghi e forze magiche; oggi, non sono concessi questi “balzi superstiziosi”, eppure alla sofferenza-ispiratrice tutto si dona e ogni opera è la moneta con cui viene ringraziata. Console fa lo stesso, guardando però a quelle colonne fondanti che sorreggono il tempio della nostra “non-conoscenza”.

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