Regina. L’esordio vincente del regista calabrese Alessandro Grande

Regina. L’esordio vincente del regista calabrese Alessandro Grande

Articolo e foto di Adriana Sabato

Regina è il titolo del film firmato dal regista catanzarese Alessandro Grande, con Francesco Montanari, Ginevra Francesconi, Barbara Giordano, Max Mazzotta. Girato nel 2020 interamente in Calabria, in Sila per la precisione, possiede una trama davvero avvincente. Si tratta di un dramma familiare che nella seconda parte assume caratteristiche tipiche del noir. Il film è stato presentato nell’ambito del progetto intitolato “Proiettiamo” cinema all’aperto nel centro storico di Belvedere Marittimo, curato dalla Scirocco film Academy, ed ha ottenuto grande successo.

Trama avvincente, dicevamo, del primo lungometraggio del regista calabrese che ha ottenuto diversi riconoscimenti, il Ciak d’oro Cult movie 2020 e il premio Graziella Bonacchi al Nastro d’argento, nell’ambito del quale è stato candidato nella categoria miglior soggetto. A luglio 2021 ottiene la candidatura come miglior opera prima al 61º Premio Globo d’oro, rientrando nella terzina finalista, ed è anche l’unico film italiano tra i dodici in concorso nella selezione ufficiale al 38° Torino Film Festival.

Regina ha 15 anni e sogna di fare la cantante. A supportarla c’è suo padre Luigi, lui è tutta la sua famiglia, dato che Regina ha perso la madre anni prima e Luigi proprio per lei ha rinunciato alla sua carriera musicale. Il loro è un legame fortissimo, indissolubile. Almeno fino a quando un giorno, un incidente cambierà le loro vite evidenziando quella mancanza di coerenza nella figura paterna sottolineata dal necessario sviluppo narrativo della seconda parte del film in cui prevalgono le riprese notturne e i ritmi sono scanditi in modo compresso e i dialoghi diventano brevi, singhiozzanti.

Questo perché, come ha spiegato Alessandro Grande, l’idea del film nasce dalla voglia di raccontare un conflitto generazionale giocato sul terreno della colpa e delle responsabilità di un padre incapace di prendersele e di una figlia che per questo si sente smarrita, priva di punti di riferimento. All’improvviso la protagonista vede qualcosa che non va in quell’uomo che le sembrava perfetto. “Sono partito dal saggio di Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco – ha spiegato ancora – nel quale l’autore affronta l’assenza e la scomparsa della figura di padre. Telemaco infatti lo attende per poter ristabilire in casa quella che Recalcati chiama ‘la legge della parola’, la capacità di svolgere una funzione educativa verso i propri figli”.

L’arrivo di un padre maturo e pronto all’ascolto è un bisogno fondamentale per le generazioni dei figli di ogni tempo. Luigi diventa padre alla fine del film, contribuendo a rendere più forte l’idea che non si può essere solo amici di una figlia, ma bisogna prendersi le proprie responsabilità. La Calabria in tutto questo assume toni di colore alquanto insoliti: non appare nella sua solarità ma, coerentemente con lo svolgersi della trama filmica, mostra le sue atmosfere plumbee e notturne, quasi crepuscolari (è stato girato soprattutto nel corso delle giornate invernali e fredde del paesaggio silano).

Una sceneggiatura che sottolinea, assieme alla musica, lo svolgersi di ritmi sincopati, lunghissimi silenzi, momenti ruvidi e a volte spaventosi. Regina dimostra tutta la sua forza, ma anche la sua fragilità in quel percorso di riscatto che la vede solitaria in un forzato ma vincente cammino di redenzione dal quale non vuole indubbiamente sfuggire.

Il film, molto apprezzato anche dal pubblico locale, è certamente da vedere.

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