Referendum. Legge Severino ed esigenze cautelari
Articolo di Antonella Perrotta
Referendum est. Si profila all’ombra delle elezioni amministrative in 981 Comuni italiani, abbandonato al suo destino ché, di parlarne, pare si abbia poca voglia. Eppure, gli elettori sono chiamati a pronunciarsi su cinque quesiti referendari che semplici non sono e fanno rimpiangere i tempi in cui si doveva decidere su divorzio SÍ o divorzio NO, aborto SÍ o aborto NO. Ed è per questo che proviamo a fare un po’ di chiarezza sui primi due, quelli di maggior interesse comune: la proposta di abrogazione della “legge Severino” e quella di limitazione dell’applicazione delle misure cautelari per come attualmente previste dal codice di procedura penale.
La proposta di abrogazione della legge Severino
È, innanzitutto, necessario compiere un passo indietro. La legge 190/2012, nota come legge anticorruzione, selva dantesca di rimandi e codicilli, al comma 63 dell’art. 1 conferiva una delega al Governo per adottare un decreto legislativo che disciplinasse l’incandidabilità a specifiche cariche.
Il d.lgs. n. 235/2012, tuttora vigente, detto “Legge Severino” dal nome dell’allora Ministro della Giustizia del Governo Monti, ha recepito la delega e impedito l’accesso alle cariche elettive regionali, negli enti locali, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, a tutti coloro che hanno riportato una sentenza di condanna definitiva o di patteggiamento per alcuni gravi reati quali, in via esemplificativa: associazione mafiosa; associazione finalizzata al narcotraffico; reati in materia di stupefacenti; reati contro la pubblica amministrazione; reati commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o servizio e condanna superiore a sei mesi; reati di qualsiasi tipo non colposi e con pena superiore a due anni; oltre agli indiziati di appartenere a una associazione mafiosa destinatari di un provvedimento di prevenzione definitivo.
L’eventuale nomina contraria a tali divieti è, al momento, radicalmente nulla, mentre l’emissione di una sentenza di condanna non definitiva per taluno dei predetti reati o l’applicazione di una misura di prevenzione o cautelare importa la sospensione dalla carica eventualmente già ricoperta.
Detto ciò, il quesito referendario chiede all’elettorato se è favorevole o no all’integrale abrogazione della legge Severino e, se dovessero prevalere i SÍ, l’intera disciplina dell’incandidabilità e della sospensione dalla carica attualmente prevista verrebbe meno.
La proposta di limitazione delle misure cautelari
Il secondo quesito referendario riguarda la materia delle misure cautelari e, in particolare, il cosiddetto “rischio di recidiva”. Anche in questo caso è necessario un passo indietro.
L’art. 274 c.p.p. contempla tre esigenze cautelari che giustificano la richiesta al giudice di applicazione di una misura cautelare: il pericolo dell’inquinamento probatorio (lettera a); il pericolo di fuga (lettera b); il pericolo di commissione di gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata “o della stessa specie” di quello per cui si procede (lettera c). Quest’ultima esigenza cautelare, che mira a prevenire la ricaduta nel reato, secondo la norma in questione, va desunta dalle circostanze del fatto e dalla personalità dell’indagato, ossia da comportamenti o atti concreti ovvero dai suoi precedenti penali.
È ovvio che, qualora non ci siano evidenze reali di pericolo di recidiva e salvi i chiarimenti giurisprudenziali in merito, il giudizio in merito non può che essere astratto, aleatorio, probabilistico, discrezionale. In termini spiccioli: chi ci dà la certezza che il soggetto torni a delinquere?
Il quesito referendario chiede agli elettori di abrogare il solo inciso della lettera c) del codice di procedura penale nella parte in cui si parla del pericolo di commettere “delitti della stessa specie di quello per cui si procede”. Ciò, allo scopo di limitare la valutazione del rischio di recidiva – e la discrezionalità che potrebbe conseguirne – ai “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata.”
Agli elettori spetterà pronunciarsi, quindi, e assumersi la responsabilità di un eventuale mancato raggiungimento del quorum. E poco importa se la maggioranza mastica poco i diktat legislativi, gli articoli e gli innumerevoli commi che non brillano per chiarezza neanche per gli addetti al settore. D’altronde, siamo in democrazia e il povero legislatore fa quel che può, se può e quando può. E, poi, fa caldo. Un caldo fuori dalla norma.