L’amore al fiume. Ezio Sinigaglia e il volto ironico della vita militare
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “L’amore al fiume (e altri amori corti)” di Ezio Sinigaglia, Wojtek, 2023
Con piglio dissacrante, Ezio Sinigaglia ci porta tra questi sei racconti con i quali ci mostra un mondo che non c’è più. Lo fa con il suo stile inconfondibile, un vero e proprio marchio di fabbrica, in cui le lingue si mischiano. Dall’aulico al dialetto, dall’indagine psicologica alla spudorata ironia, le sperimentazioni dello scrittore milanese non hanno confini e rendono tutto autentico.
Ci immergiamo tra i bersaglieri di un campo militare estivo che, ammaliati dall’aria di giugno, si lasciano andare ai propri istinti, cacciando fuori quegli attributi che simboleggiano l’omoerotismo, il cameratismo e un’ancestrale volontà di potenza. Per loro tutto è una vivace scoperta, in cui le regole vengono sovvertite, un po’ come accade nel Carnevale nel quale il mondo si capovolge.
Che sia una brezza dionisiaca o un uragano emozionale a sfruculiare i sensi, non ci viene detto. Ezio lascia tutto nelle mani del lettore attento che dovrà cogliere questi aspetti tra una risata e l’altra; infatti, la vera voce di questi racconti è l’ironia di un narratore che canzona questi “uomini tutti di un pezzo”, quasi spaventati dall’apprendere che l’amore arriva, si impossessa del cuore, del corpo e della mente e poi fa un po’ come gli pare.
Ma come detto poco più sopra, torniamo anche a un mondo che non c’è più, a quella vita militare che veniva imposta, che rappresentava per molti l’unica possibilità per conoscere qualcosa in più del mondo, che strappava dagli affetti più cari e che costringeva a smascherarsi o a isolarsi nelle proprie convinzioni. E prende vita tra queste pagine quell’omoerotismo che appartiene a tutti gli esseri umani, che a volte è inarrestabile come un fiume in piena, mentre in altre diventa un gioco prevaricatore.
Ezio ci ha abituato negli anni a questo tipo di disamine, che stanno lì, tra le pagine. Le nasconde tra le azioni dei suoi personaggi, le mette in risalto attraverso un feroce sarcasmo con cui demolisce ogni struttura mentale, ogni pregiudizio. In questo caso, attraverso la sua penna dà una nuova immagine del militare che, per l’appunto, è il massimo esponente di un sistema “romantico-fallocentrico”.
Infatti, persino Achille aveva il suo punto debole… e forse, senza azzardare confronti, è proprio al mitico eroe che Ezio fa riferimento. Per tutte le contraddizioni del caso, invece, non si può che risolverle nell’umorismo. C’è anche un personaggio che viene soprannominato Maciste, ed è sempre un richiamo a una tradizione, a un simbolo del nostro immaginario collettivo che, come tutti i simboli, racchiude un’ambivalenza.
Ma al di là di ogni disquisizione, i racconti di Ezio sono prima di tutto un’alta prova di stile e di inventiva. Pochi elementi-chiave che sono capaci di costruire un complesso puzzle di sensazioni e di riflessioni con cui il lettore potrà divertirsi; e se proprio non vorrà lambiccarsi più di tanto il cervello, pazienza, sarà lo stesso una piacevole lettura: l’ennesima prova di uno degli ultimi veri esponenti del Novecento letterario italiano, capace di sorprendere a ogni suo libro.