Malinverno. Domenico Dara e la Storia di tutte le storie
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Malinverno” di Domenico Dara, Feltrinelli, 2020
Ecco una sorta di fiaba nella quale a trionfare è quel realismo magico che sa svelare i simboli che governano l’umanità. Malinverno di Domenico Dara è un romanzo in cui la morte non si affaccia in maniera tenebrosa sulla vita, ma è e resta come la fine di un percorso lungo il quale si apre a noi lo scrigno della conoscenza.
Conoscere vuol dire penetrare in ciò che appare chiuso, invalicabile, ed è solo grazie a questa volontà di addentrarsi che facciamo esperienza dello stupore. No, la morte non è minaccia, ma riposo, riflessione, abbandono alla quiete meditativa. Nulla di mistico, solo semplice constatazione.
Timpamara è un paese-mondo, pur conservando il suo status di periferia; eppure, qui si svolge la ricerca di Astolfo Malinverno, zoppo fin dalla nascita; prima bibliotecario, poi anche guardiano del cimitero, ma da sempre amante dei libri. Nei suoi occhi si incontra la malinconia tipica dei sognatori, di coloro i quali non si accontentano della nuda realtà. I libri sono nel suo destino. I suoi genitori si innamorarono proprio grazie al maceratoio dei libri, posto vicino all’antica cartiera.
Astolfo legge e divulga, crea storie e amalgama la vita dei suoi concittadini con quella dei personaggi dei romanzi che più ama, perché più dei fatti, che sono passeggeri, sono le interpretazioni che immortalano gli accadimenti. Le parole, che imbrigliano sui fogli ciò che avviene, hanno il potere di fermare il tempo e di rendere le singole esperienze patrimonio di tutti. Per questo un libro è capace di consegnare all’eternità anima e corpo.
Un cimitero e una biblioteca sono quindi luoghi della memoria, perché così come un libro testimonia il momento storico in cui è stato scritto, così una lapide ci fa volgere lo sguardo indietro, verso chi è stato su questa Terra. Di quell’uomo sepolto vorremmo sapere tutto, anche i segreti che si è portato nella tomba, tanto a lui non servono più.
Per questo Malinverno vuole scoprire il segreto che si cela dietro una lapide che se ne sta in un’area appartata del cimitero; vuol conoscere di quella donna di nome Emma che assomiglia tanto alla protagonista di Madame Bovary. In questo frangente, il povero Astolfo fa i conti con l’amore, quel sentimento che travalica la morte e le barriere architettoniche, ma che inciampa nella realtà dei fatti. Così, un mistero ne richiama un altro, ma sembra quasi che i libri abbiano già detto tutto al becchino-bibliotecario. Non ci sono fatti occulti che non possano essere svelati, forse a bloccare è solo la paura di poter trovare conferma a ciò che da sempre è stato intuito. Infatti, nessuno vive per sé o solo in sé, ma fa parte del tutto.
Allora, cosa c’è di nuovo da scoprire? Forse nulla, forse solo altre interpretazioni dello stesso avvenimento.
Sono tanti i personaggi che Dara fa comparire all’interno di questo romanzo, ponendoli in una dimensione onirica nella quale si intreccia qualcosa di folkloristico, che sopravvive ancora nelle leggende popolari e nei miti. Ma c’è anche tanta Calabria; ad esempio, quell’andirivieni trasognato e malinconico in cui tanto ci si affida ai suggerimenti del destino, quanto a una soluzione ingegnosa che sia ponte tra l’umano e il divino, il cielo e la terra, il limite temporale e l’eternità.
Buon viaggio tra i segreti di Timpamara.