Il grande cacciatore e altre violenze. Carlo D’Amicis e la “razionalità dell’assurdo”
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il grande cacciatore e altre violenze” di Carlo D’Amicis, TerraRossa edizioni, 2023
Un’ironia amara ci accompagnerà per tutte le pagine di questo romanzo breve. La strada scelta dalla protagonista di questo racconto, che è anche la voce narrante, è quella della alienazione. Lei infatti preferisce essere una spettatrice distante, poco coinvolta emotivamente, tanto da farci pensare che la sua reazione di fronte agli avvenimenti sia effetto di un trauma che ha provocato un violento distacco dalla realtà.
Ci racconta del suo fidanzato fissato con la caccia e con gli extraterrestri, della relazione “poco clandestina” e accettata, perché si svolge alla luce del sole, con la giovane vicina di appartamento, anche lei convinta sostenitrice di teorie bislacche sugli alieni e sull’amore universale.
E lei, la narratrice intontita, guarda e racconta come se lo spettacolo che si sta consumando non le appartenga. Eppure, coinvolge l’intero universo, tant’è che persino gli animali sembrano avere un ruolo fondamentale; addirittura potrebbero avere la capacità di fecondare gli esseri umani.
In questo triangolo amoroso ironico e cinico è difficile comprendere chi è il predatore e chi è la preda, chi è umano e chi è alieno; anzi, è il caso di dire, chi non è ancora alienato. Posti questi elementi possiamo affermare di trovarci davanti un romanzo “in cui l’assurdo è razionale”, in cui ogni paradosso distrugge l’ordine, la normalità, la percezione della quotidianità.
Eppure questa storia esiste, una donna la racconta e il finale, che logicamente non vi dirò, è l’unica “conclusione possibile”. Tutto è lineare e schematico e potrebbe essere riassunto in questo modo: una convinzione non-ordinaria, deflagrante, innesca sistemi di comportamento socialmente accettati, per giunta esaltati. Si affaccia su questa storia l’idea di Foucault che “la natura sia un’invenzione umana attraverso cui viene ordinato il mondo”; così come sulla trama aleggia lo spettro di Ballard e della sua “critica romanzata della società”.
Mi permetto di aggiungere che certi passaggi mi hanno richiamato alla mente “La stanza da bagno” di Toussaint, romanzo di cui poco si parla, anche perché diventato di difficile reperibilità. Ma sia ben chiaro, mettere dei rimandi in una recensione serve sempre per dare al lettore una traccia, un solco da seguire, D’Amicis ha certamente il suo personale stile asciutto, privo di orpelli, tanto da rendere ogni elemento una cronaca dell’assurdo alla quale non si può non credere.
E siccome un buon lettore non può non lasciarsi catturare dal non-scritto di un romanzo, ecco che in questo viaggio ci troveremo catapultati su quel confine sottile tra paradossale e normale, tragico e ironico, tanto da dover sopportare quella sensazione di rottura con il nostro amore per l’ordine. Troveremo inoltre quel senso del “selvaggio”, ossia del dionisiaco, in cui una caotica emozionalità genera-distrugge-rigenera senza inibizioni.