“Disobbedienza civile”. Ecco quanto è attuale Henry David Thoreau

“Disobbedienza civile”. Ecco quanto è attuale Henry David Thoreau

Recensione e foto di Marco Ponzi

Mi sono capitate due cose strane leggendo il saggio “Disobbedienza civile” del filosofo statunitense Henry David Thoreau: la prima è domandarmi se una persona che non fosse stata un filosofo non potesse davvero elaborare pensieri di questo tipo, pensieri che definirei umani, volti al bene dell’altro e della comunità in senso lato, pensieri empatici e del tutto naturali, propri di chi abbia una sensibilità, anche minima; la seconda è arrivare alla conclusione di non avere nulla da aggiungere.

Il testo, del 1849, teorizza la disobbedienza civile in contrasto a leggi ritenute ingiuste e l’autore sperimentò in prima persona, col carcere, gli effetti della sua teoria trasformata in azione. In particolare, la sua azione era rivolta all’abolizione della schiavitù, abolizione che, a quel tempo, trovava numerose contrarietà nella società che voleva definirsi “civile”.

Vennero siglati accordi e leggi a favore della schiavitù tanto da aver inserito in costituzione le norme sulla schiavitù. Uno schiavo che fuggiva poteva essere riacciuffato e riconsegnato al suo padrone, anche a distanza di anni. Dunque, ostacolare le leggi relative alla messa in atto della schiavitù o non pagare delle tasse per perpetrare lo status quo era una pratica sanzionabile.

Fortunatamente, grazie a individui illuminati, oggi la schiavitù è stata abolita perché ritenuta un’aberrazione, anche se gli strascichi di qualche nostalgico non sono del tutto esauriti, fatto sta che mi domando quante leggi ingiuste oggi e nel mondo vengano tenute in vita solo per soddisfare gli interessi di qualcuno. Mi domando anche come mai, oggi e secoli fa, chi governa non sia stato in grado di prendere atto della realtà o di immedesimarsi minimamente nel prossimo, soprattutto quando alcune nazioni fondano se stesse su determinati principi cristiani, valori portati avanti quando c’è da difendere un certo tipo di cultura o di proprietà e non quando si parla di equità e di rispetto dei diritti umani.

Non a caso, Thoreau, mette in mezzo Dio le cui leggi, a suo dire, sono superiori a quelle umane. La sua invettiva si scaglia particolarmente verso coloro che ignorano i valori cui formalmente (e anche un po’ ipocritamente) si ispira la società americana. Nel saggio di Thoreau che consta di una cinquantina di pagine, i miei stessi interrogativi sorgono nelle parole dell’autore e le risposte sono già nelle domande.

Certamente, si riscontra un certo grado di utopia e di ideologia nel porle, ma è anche vero che una utopia rimane tale fino a quando non si realizza un dato obiettivo. Era utopistico abolire secoli di schiavitù, lo era a quel tempo, ma poi l’utopia ha preso forma e sostanza. Senza essere filosofo, potrei affermare che le utopie rimangono tali solo se restano sulla carta; quando poi interviene l’azione o la disobbedienza, ecco che cambiano la loro natura, nel bene e nel male. L’utopia, per avere sostanza, deve essere necessariamente condivisa e immaginata, resa concreta nella propria testa, a mio giudizio.

Dato che non posso aggiungere nulla di più a un testo già di per sé chiarissimo e condivisibile, non mi resta che estrapolare qualche brano:

“Non possiamo avere un governo in cui non sono le maggioranze a stabilire a priori il giusto e lo sbagliato, ma le coscienze? In cui le maggioranze affrontano solo questioni alle quali è possibile applicare le regole dell’opportunità? Deve il cittadino, anche solo per un istante o in minima parte, lasciare che la sua coscienza si arrenda al legislatore? E allora perché ogni uomo è dotato di coscienza? Io penso che dovremmo essere prima uomini, e poi, sudditi”

“In pochi – eroi, patrioti, martiri, grandi riformatori, e uomini qualunque – servono secondo coscienza, e inevitabilmente si trovano perlopiù a opporsi allo stato; e sono quindi trattati spesso come fossero dei nemici”

Nel volume in mio possesso è presente anche un altro testo: “La schiavitù nel Massachusetts”. Anche qui ho ritrovato delle frasi che non hanno bisogno di spiegazioni e che, a ben vedere, si potrebbero adattare a qualsiasi governo contemporaneo.

“Il genere umano capirà mai che la politica non è il campo della moralità, perché non si cura di quanto è moralmente giusto, ma prende in considerazione solo ciò che è conveniente?

“Credo che in questo paese, la stampa eserciti un’influenza più pesante e nociva di quella esercitata dalla chiesa durante i suoi periodi più bui. Non siamo un popolo religioso, ma siamo una nazione di politici. Non c’interessiamo alla Bibbia, ma ai giornali”

Pare che, leggendo queste parole, in oltre due secoli di storia, non sia cambiato nulla, perché gli uomini sono uomini e il processo evolutivo della morale, per certi aspetti, pare essersi arrestato. E la cosa è comune a tutto il mondo che, come recita il detto, è paese. Dunque, per paradosso, il testo si può considerare attualissimo.

Infine, questo libro mi ha proprio messo di fronte a un muro e a un dilemma: come uomo, ho disobbedito abbastanza?

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