Raskòl’nikov. Il delitto e il castigo della giustizia
Articolo di Martino Ciano già pubblicato per Eretici
Ha ucciso una strozzina. Ha versato il sangue di un essere umano, ma il sangue scorre a fiumi nel Mondo, eppure ci sono uomini ai quali tutto viene perdonato; anzi, alcuni vengono chiamati benefattori nonostante le loro azioni turpi.
Questa la verità pronunciata più volte dal protagonista di Delitto e Castigo, quando confessa il suo crimine alla sorella. Cosa sia giusto e cosa sia sbagliato Raskòl’nikov non lo sa. Prima e dopo aver commesso il suo omicidio è stato divorato dal rimorso, poi, pian piano tutto si è addormentato in lui.
Chi è la vittima e chi è il carnefice? Il giovane ex studente non sa rispondere neanche a questo. Ha ucciso per lui, questo lo riconosce, per dimostrare la sua potenza. In un articolo scritto per una rivista e che i suoi amici giudicano fuorviante, Raskòl’nikov sostiene che ci sono “uomini superiori che hanno il diritto di uccidere in nome della forza delle loro idee, semplicemente perché quelle idee cambieranno in meglio l’umanità. Nessuno quindi deve opporsi”.
Altra sconvolgente verità che lascia basiti, ma di fronte alla quale nessuno riesce a controbattere se non con una morale spicciola, conveniente, politicamente corretta diremmo oggi. Ed ecco Raskòl’nikov, uomo che sta al di là del bene e del male; giovane nichilista che sente su di lui il peso della libertà. Perché la libertà è una materia difficile da trattare. Ha a che fare con il diritto/dovere di scelta e con la conseguente assunzione della responsabilità. Ma la responsabilità è qualcosa che bisogna caricarsi interamente sulle spalle, non si può dividere con qualcun altro. Essa è tanto un peso quanto un dono.
E allora cos’è quel rimorso che percuote Raskòl’nikov? Cos’è quella voce interna che lo porta ad alternare momenti di euforia a momenti catatonici? E i suoi atti di carità non sono forse il tentativo di condividere o di zittire le proprie responsabilità?
Ha ucciso una strozzina, ma mentre portava a termine il suo crimine si è trovata lì un’altra persona e ha dovuto ammazzare anche lei. Che sia nato da questo intoppo il rimorso?
Eppure, simile a Raskòl’nikov, è Svidrigajlov. È un donnaiolo, un frivolo e un villano. Convive con il senso di colpa scaturito dall’avvelenamento della moglie. Riconosce di essere un immorale ed un edonista, ma lo accetta. Per lui, vivono bene solo coloro che se ne fregano degli altri e che pensano alle loro pance. Prova a prendersi le responsabilità delle sue azioni, ma non ci riesce. Ammette che la sua natura è corrotta e malata. Non può guarire. Per questo si ammazza in maniera frivola, da vigliacco, restando così coerente alla sua essenza. Eppure, Svidrigajlov confessa che la morte gli fa paura.
Ma in tutto ciò la giustizia cos’è? Un castigo che prima di tutto ognuno si infligge, riconoscendo quell’incolmabile distanza che c’è tra l’individuo e la società, tra ciò che siamo intimamente e ciò che siamo tra gli altri. In questo luogo agisce la libertà. In questo spazio scoppiano i nostri conflitti, quelli che per Freud si chiamano nevrosi.
Cos’altro c’è da aggiungere? Raskòl’nikov trova la sua via di fuga. Confessa, perché ha paura della morte. Non ricorrerà al suicidio. Ci ha pensato, ma vuole esistere, vuole restare in vita. Eppure, a lui di vivere tanto per vivere non è mai importato, almeno fin quando non scoprirà che anche lui sa amare e può essere amato.
La bellezza salverà il mondo? È banale? Non proprio, perché Dostoevskij non mette un punto al suo capolavoro, ma un punto interrogativo, e lascia che ognuno tragga liberamente le proprie conclusioni. Sono passati 160 anni dall’uscita di Delitto e Castigo e leggendolo oggi, comprendiamo che ancora nessuna risposta ci soddisfa pienamente. Abbiamo una naturale propensione al rimorso, anche quando premeditiamo le azioni peggiori.
La domanda però è un’altra. Cosa ignoriamo e cosa ci sfugge quando mettiamo in pratica il male?